lunedì 31 dicembre 2007

La paura




















Abbiamo trattato il mondo come se fosse un paesino, l'abbiamo attraverso da nord a sud, l’abbiamo arredato come se fosse il soggiorno di casa. Non abbiamo avuto rispetto di niente, neanche per noi. Forti della nostra scienza, ci siamo sentiti immuni dai rischi che la natura riserva nella sua ininterrotta mutazione, che è poi la sua vita nel bene e nel male. Poi scopriamo che l'agente infettivo della mucca pazza arriva all'uomo, che quello che con una punta di superiorità classista chiamavamo “terzo mondo” si sta riversando da noi, che i paesi poveri hanno un’arma incontrollabile per spaventarci, quella della migrazione, quella della guerra dei poveri contro i ricchi, quella del terrorismo.
Niente paura, niente paura , niente paura, ci pensa la vita mi han detto così. Niente paura, niente paura niente paura, si vede la luna perfino da qui”. La paura è sempre stata l’arma migliore per frenare la vita delle persone. Ci si è impossessati di questa arma in ogni epoca e in ogni forma di governo, dalle dittature alla democrazia, passando per le monarchie. Ligabue nella sua ultima canzone ribalta questo concetto e indica uno spiraglio. Dice che non bisogna aver paura perché è la vita a decidere, perché è la vita che cambia e quale miglior augurio, allora, per un anno che inizia? La globalizzazione ha anche di questi effetti. Il pensiero unico, il pensiero dominante. E la paura è uno di questi concetti. Non solo la circolazione illimitata delle merci e del denaro, non solo la libertà di movimento degli uomini, non solo l'accessibilità a tutte le possibili informazioni, ma anche l'esposizione a tutte le paure, contro cui noi, ancora arcaici perché "localistici", non abbiamo difese. Qui le riflessioni che si impongono sono sostanzialmente due. La prima è che non abbiamo la situazione in pugno come invece abbiamo creduto per troppo tempo. Abbiamo usato, usurato la nostra vita, le nostre società. Nella vita sotterranea e segreta, gli uomini hanno sempre conosciuto un tipo di vita, perché poi non è mai stato possibile conoscere il diverso, perché il diverso era diverso, quindi negativo, quindi qualcosa che doveva far paura. Quante volte da bambini per spaventarci ci han detto: “non piangere altrimenti viene il lupo cattivo”?. La seconda riflessione è che la globalizzazione è avvenuta troppo rapidamente rispetto alle possibilità "biologiche" dell'uomo e delle società. E' solo il delirio di onnipotenza del potere che ci fa trascurare questo dato, con tutte le conseguenze che ne derivano rispetto all'imprevedibile, che della natura è il tratto caratteristico, nonostante tutte le nostre conoscenze. Eraclito diceva che «La natura ama nascondersi». Anche la società è così, per questo si serve della paura. E il suo segreto, il segreto della paura, si sottrae a quella visione semplicistica con cui noi oggi, uomini dell'età della tecnica, la disegniamo quando la riduciamo a semplice «malattia, guerra o altro». In questo sguardo miope e semplicistico abbiamo perso la giusta misura, oppure ci hanno dato occhiali da presbiti noi che al massimo siamo miopi. Il risultato? Paura, solo paura. Paura per tutto e di tutto. Ma perdere la giusta misura significa vivere lo squilibrio, vuol dire accettare il compromesso con la propria libertà, vuol dire avere paura. E per tutto ciò non solo non disponiamo di difese per il presente, ma neppure di un'etica del comportamento per il futuro. Perché le etiche che finora abbiamo creato o di cui ci siam serviti mettevano insieme solo i rapporti tra la gente, ma non si fanno carico del concetto di emozione, come la paura appunto, che tutte le etiche finora formulate concepiscono come mezzi al servizio dell'uomo, quando ormai sono diventati fini da salvaguardare, espressioni della natura dell’uomo da tutelare e da proteggere. La paura è contrappasso che riconduce l'uomo a quello stadio primitivo e dimenticato dove il pericolo era l'epidemia e il terrore era il contagio. Ci salverà la vita come dice Ligabue? Puntare sulla vita vuol dire su quegli strumenti psichici per affrontare ciò da cui ora abbiamo paura di difenderci. La paura è ora l'imprevedibilità non più dovuta all’incuria degli uomini, ma alla loro all'ignoranza.

Tira sempre un vento che non cambia niente mentre cambia tutto sembra aria di tempesta.
Senti un po' che vento forse cambia niente certo cambia tutto sembra aria bella fresca.
” Sembra che non cambi niente, ma poi qualcosa cambia, qualcosa deve cambiare, proprio come il Dio che risorge dopo essere morto, il Dio di Guccini. Basta conoscersi, basta voler decidere della propria vita, basta credere in sé. La paura si vince con l’intelligenza, con la voglia di decidere, con la forza di una risata, come diceva un poeta del secolo scorso. La paura si vince, non si può essere vinti, non più.

domenica 30 dicembre 2007

Senza volerlo























La sua occupazione principale è non farsi notare.
Fabrizio è di abitudini fisse. Entra nel letto rimboccandosi le coperte.
Quando non sa più cosa fare della sua chitarra beve birra fino a non poterne più.
Stando così le cose perchè dovrebbe sentirsi diverso da tutti gli altri?
E' dimostrato che un alcolista beve meno di un giovane che passa il sabato sera con gli amici.
E' l'inevitabile effetto yo-yo. L'alcol è qualcosa che hai già dentro, come tutto quello che non ti fa dire basta... basta svegliarlo.
Un vero sfregio della natura, pensa Fabrizio, e per un attimo pensa che quella scena l'abbia già vissuta prima, o meglio che l'abbia cantata per anni in una sua canzone...
...addio bocca di rosa, con te se ne parte la primavera...

sabato 29 dicembre 2007

La retorica




























La retorica è una tecnica della persuasione, ed è stata elaborata e studiata perché su pochissime cose si può convincere l'uditore attraverso ragionamenti apodittici, ovvero scientificamente inoppugnabili. In genere si discute intorno a cose circa le quali si possono avere diverse opinioni.

Ma esiste anche una retorica della prevaricazione. Sovente chi prevarica vuole in qualche modo legittimare il proprio gesto e persino ottenere consenso da parte di chi soffre quell'abuso di potere. Uno degli esempi classici di pseudo-retorica della prevaricazione ci è dato dalla favola del lupo e dell'agnello di Fedro.

Esiste un'altra forma di giustificazione della prevaricazione, ed è il ricorso alla sindrome del complotto. Uno dei primi argomenti che si usano per scatenare una guerra o dare inizio a una persecuzione è l'idea che si debba reagire a un complotto ordito contro di noi, il nostro paese, la nostra civiltà.

I neo conservatori americani, i quali sostengono che gli Stati Uniti, essendo il paese democratico più potente del mondo, hanno non solo il diritto ma anche il dovere di intervenire per garantire la pax americana.
L'argomento si può così sintetizzare: "noi abbiamo il diritto di prevaricare perché siamo i migliori". Nella sua retorica da autodidatta il neo con americano ignora un modello, e comunque non avrebbe potuto farvi ricorso, perché rappresentava una lode dell'odiata democrazia.

Questo un pensiero dopo aver visto il film "Leoni per agnelli"...
...questo dopo aver ricordato un passo dell'Idiota di Dostoevskij...


...Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto:"Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo."...

venerdì 28 dicembre 2007

...è bello leggere e sentire che la cosa in qualche modo ti può riguardare?



Omne animal post coitum triste... sentenziavano nell’antichità… perché dopo aver sperimentato l’orgasmo si ha la certezza che nulla di più intenso potrà accaderci… è una nostalgia che ci assale, per poi cedere nuovamente a un nuovo desiderio…
Avrei voluto essere bello… Bello, come certi divi del cinema… Ma cosa ne sarebbe stato di me?La mia vita è stata una continua ricerca della passione… ho vissuto solo per questo… forse è stato meglio così… sarei stato totalmente succube del sesso… non avrei vissuto, non ci sarebbe stato spazio… sarei vissuto come alcolizzato, preda degli istinti…. Mi sarei annichilito… ma è forse meglio così? Quella passione che ti toglie il respiro, che svuota il cervello, che rifiuta denaro e potere, che si sazia solo di sé… Il denaro… l’ho sempre sperperato… è solo un mezzo per avere altre, nuove donne…
Parità dei sessi? E’ forse paritario il fatto che una donna che voglia del sesso possa sempre trovarlo, e facilmente, mentre un uomo no? A una donna basta fare una telefonata, chiamare il primo conoscente/amico/collega maschio che gli salti in mente, finanche uscir di casa e avvicinare un uomo qualunque. Spesso non serve nemmeno avvicinare perché si viene facilmente avvicinate… Un uomo può farlo giusto con una prostituta… E non c'entra la bellezza... vale per una donna non bellissima come per un uomo gradevole. L’approccio diretto agli uomini è negato, chiedere a una donna così, d’emblée, d’andarci a letto dopo averla appena conosciuta è a dir poco proditorio… Una donna ha libero accesso al sesso, un uomo deve dimostrare molte, troppe cose prima… Per cultura o per natura, la donna si fa esigente, schizzinosa, spesso gioca con una disponibilità, la sua, ambita e ricercata. Gioca a negarsi. E finiamola con la storia che le donne lo fanno solo per amore! Alle donne piace scegliere, fa parte del loro bisogno di sentirsi uniche…
Honoré de Balzac affermava che le donne siedono sulla loro fortuna. Una sineddoche ne fa "fighe" invece che donne o ragazze, ma non fa altrettanto per l'uomo! Della donna si dice “guarda che figa!”, dell’uomo non si dice “guarda che cazzone!” e non certo per “vezzeggiarlo”
Esser gelosi significa rinunciare al più grande dei piaceri… vedere la tua donna godere tra le braccia di un altro… godimento puro…Non so più se sono geloso. Quel residuo di gelosia che sento in me è forse solo egocentrismo. Odio essere escluso, voglio essere cercato, sentirmi importante per qualcuno. E non mi interessa tutto sommato che tu scopi con un altro. Purché sia io a concedertelo…

giovedì 27 dicembre 2007

Solo parole

...quindi Fabrizio ha i capelli castani, gli occhi piccoli, un naso imperfetto, delle mani da donna.
Adesso ha appena finito di bere un caffè. Guarda l'orologio, con cinquew minuti di ritardo esce di casa per andare a lavorare.
Di tutte le manie più inutili quella di arrivare in anticipo è la più controproducente, specie poi quando si ha un capoufficio ritardatario.
Quel che più mortifica Fabrizio è che giorno dopo giorno ci sarà per forza qualcuno pronto a sviluppare una teoria per associare l'arrivare in anticipo con l'eiaculazione precoce.
Come se poi ci fosse un nesso logico fra l'amore e il tempo...


...quando il piacere di Giuseppe e Luisa si unirono in un pomeriggio estivo nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe nato fabrizio.
Da bambino sembrava timido, ma invece non lo era.
Come per ogni bambino la cosa più importante è il momento del gioco. Prima o poi deve immaginarsi protagonista di una vita immaginaria che non c'è. Ogni bambino fa così.
Negli adulti spesso l'immaginazione significa rimpianto, negli adolescenti rimorso, nei bambini, invece, non significa niente. E' già tanto se c'è...


...lo sanno tutti ormai che il sesso dal 3 anno di matrimonio in poi si riduce di un buon 30% rispetto al periodo di fidanzamento.
Forse anche per questo Fabrizio non ha mai pensato al matrimonio.
Pochi sanno però che quando Schopenauer parlò per la prima volta dell'inganno del sesso, di quella menzogna ch spinge gli esseri animati ad accoppiarsi in cambio della riproduzione era seduto in un posto fisso, con le gambe incrociate e diceva che l'inganno del sesso fa ruotare il mondo. Pensava quindi che fossero gli altri, il mondo, a ruotare intorno a lui e non il contrario...

...Esiste una precisa situazione per mezzo della quale Fabrizio De Andrè è arrivato alla conclusione che quel che non si vede non si vive.
Ciò che non vediamo, non vede noi. Questo accade quando ripensa a suo padre, a quanto ha finito per assomigliargli. Non può essere facile, ma deve accettarlo per capirlo almeno un po'...

...la sera torna a casa stanco. Il rapporto con i suoi colleghi di lavoro finisce sempre per deluderlo. Una sera mentre tornava a casa si ferma in libreria e compra un libro di uno scrittore americano.
Lo stupisce il fatto che non ci sia il nome dello scrittore e nemmeno il titolo del libro, ma solo "libro di uno scrittore americano".
Vorrebbe anche lui avere la forza di scrivere un libro, ma non ha il coraggio di farselo rifiutare.
Siccome lui non capisce tante cose della sua vita e questo finisce per metterlo di cattivo umore inizia a leggere il libro che ha comprato.
Sulla prima pagina si appunta a matita: E' brutto aspettarsi qualcosa che si sa già che non arriverà "e fu il calore di un momento e poi di nuovo verso il vento..."
...appunto è brutto aspettarsi questo rimpianto d'aprile...

lunedì 24 dicembre 2007

Volta la carta
























Uno dei maggiori problemi per un cantante è convincere gli altri a non aspettarsi da te solo canzoni d'amore.
E' un dato acquisito ormai che ciunque scriva perda almeno il triplo delle parole o delle frasi che pensa e che poi non fa in tempo ad appuntare.
Fabrizio ha con sè due grabdi quaderni: prende la cosa molto seriamente.
Lavora in un grande ufficio e di notte chatta con gli amici in rete.
Si masturba senza altra finalità che provare piacere quando non riesce a viverlo come potrebbe.
Vive da solo in un monolocale con due finestre.
Da quando in ufficio gli hanno proibito di ascoltare musica si è appassionato alla poesia francese. Su di lui ha lo stesso effetto: trascinante ed ipnotico, come le cose nuove che non si comprendono fino in fondo, ma da cui ci si lascia convincere.
Nel suo quaderno annota tutte le parole perse che gli ritornano in mente, tutte le frasi che avrebbero dovuto far parte delle sue canzoni e che invece si son perse per strada.
Un quaderno è per gli aggettivi, tipo: vigliacco, assurdo, petroso, anche bello;
nell'altro quaderno, invece, ci sono le frasi di senso compiuto, ma senza aggettivi: io amo i tuoi occhi; prendo la macchina; un bacio come ricordo...frasi che senza aggettivi vogliono dire solo quello che dicono, ma che con un tocco di colore in più possono stupire con un retrogusto inaspettato, come se al gelato al gusto di limone si abbinasse della panna montata e si scoprisse poi che quel che esce non è così male...
...continua...

domenica 23 dicembre 2007

auguri di natale




















“Augurio” viene dal latino “auguriu(m)”, derivato a sua volta da “augur”: augure.

Niente auguri di natale per sms, niente auguri telefonici o via mail, prima del capodanno questa volta farò gli auguri da qui, consapevole che l'indirizzo di questo blog non lo ha quasi nessuno dei miei amici e quindi del fatto che pochi a cui farò gli auguri leggeranno queste mie parole.
Per complicare ancor di più la cosa ometterò i nomi dei destinatari, ma solo cifre, numeri.
Segnali di fumo allora...

Auguri a...

1) a lui che non vedo da mesi, con cui ci sentiamo via chat o sms, a lui che non mi tradirebbe mai, con cui progettiamo un viaggio insieme, per cancellare quello brutto che non siam riusciti a rendere bello
2) a lui che sta andando via per lavoro, a lui per cui mi butterei nel fuoco, se solo il fuoco fosse per una volta più forte di lui
3) a lei che c'è, che mi guarda con gli occhi malinconici che lottano per non diventare tristi. A lei che ha dato all'amore un significato diverso. A lei che non ha mai accampato scuse per non aver sempre saputo amare. A lei ch è migliore di me.
4) A lui con cui giocavo a pallone, a lui, mio compagno di difesa, mio amico di vittorie e anche di qualche sconfitta. Quanto mi manchi in campo, come vorrei averti ancora con me ora che sto per smettere pure io per lo stesso problema che hai avuto tu
5) Al mio amico con cui bisticciamo per primeggiare in parola, all'amico con cui ci si stima senza averlo detto mai, al mio amico che trova sempre parcheggio anche quando non si trova mai
6) Alla mamma di Fabrizio e Simona che mi ha insegnato come si fa
7) A chi non ha il coraggio di far senza di me
8) A chi non troverà mai uno come me, forse migliore per tante cose, ma come me mai
9) A chi una figlia e una moglie ha tolto la libertà di scoprire cosa c'è dietro
10) A chi ormai ha il riporto
11) A lei che dovrebbe sorridere di più perchè quando sorride sa sorridere
12) A lei che ha due figli stupendi
13) A lui che stimo perchè ha saputo essere mio padre
14) Al mio mito, al padre di Vincenzino
15) A chi mi ha fatto tornare a scuola, a chi mi ha fatto sentire come batteva il cuore a 18 anni
16) A chi, troskista, crede che prestissimo saranno in tanti come lui
17) A chi mi ha fatto male
18) A lei che ha occhi così difficili da evitare
19) A chi c'è
20) A chi ci sarà, soprattutto a chi ci sarà

sabato 22 dicembre 2007

"Se non sono gigli..."





















..."Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo"
E' evidente che un cantante non può avere solo una bella voce, e a maggior ragione uno che si scrive le canzoni da solo. Uno che non si fida delle parole degli altri, non si fida di quello che poi è solo un grande specchio che riflette quando non sa di riflettere.
Il sole mangia tutto con il tempo, anche le parole scritte su un foglio di carta.
Ha scritto la prima canzone tanti anni fa. Era un pomeriggio di marzo, era l'ultimo freddo di quell'anno.
Fabrizio, Bicio, aveva una passione: amava andare a letto con le prostitute.
Le pagava per fare l'amore, le pagava per restare con lui, le pagava per dormire con loro.
Disteso sul letto quell anotte, con la luce della strada che entrava dalla porta del bagno, fissava un punto sulla parete.
"Se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo."
La prostituta era slovena, si chiamava shirla.
Parlava uno strano italiano, sapeva leggere però.
Fabrizio nascose un sorriso fra i capelli di Shirla, era l'amore dolce e violento che non aveva mai conosciuto.
Fu così che in quella notte non scrisse altro.
L'amore è difficile da scrivere, è la cosa più difficile da dire, non c'è nessuno che lo insegna, nessuno veramente disposto a dirti perchè lo si fa.
...continua...

Perchè dopo aver visto il film "Irina palm" mi è venuto in mente questo?

  1. Il sesso non "complica terribilmente le cose" tra uomo e donna: le travolge e travolge anche le cose di chi ci sta intorno.
  2. E' una dipendenza mentale, psicologica, che solo in un secondo momento diventa fisica.
  3. Solo la poesia non è caduta nell'errore di attribuire al sesso significati che non ha.
  4. Uomini e donne ch fanno sesso si giudicano basandosi su parametri razionali (durata, lunghezza del pene, grandezza del seno, numero di orgasmi etc. etc.), senza tener presente che farlo non è mai razionale
  5. Spesso il sesso soffoca altri possibili sentimenti
  6. Ci porta all’ossessione, specie nella gelosia.
  7. Pochi di noi sono capaci di viverlo liberamente, e questi pochi spesso sono giudicati male.
  8. Il sesso e l’amore sono anche due cose distinte.
  9. Non serve essere innamorati per fare sesso.

La cattiva strada





















"Sulla cattiva strada"
Dagli amici è chiamato Bicio.
Ha un montgomey blu, dei jeans scuri, sono levi's 501, ha una sciarpa amaranto che gli abbraccia la gola e cammina da solo, con le mani in tasca ascoltando musica.
Ha un i-pod bianco. Chimes of freedom cantata da bruce Springsteen mentre attraversa la strada, prima, invece, ha ascoltato Boys don't cry dei Cure.
E' una strada pedonale che taglia praticamente in due il centro cittadino.
Passa accanto ad una aiuola di margherite, c'è tanta gente, odore di castagne.
Pensa che l'amore, come una città, abbia bisogno di incontri, di frequentazioni, di abitudini.
Ma lo stesso non riesce a capire perchè quanto più è innamorato di quella donna che non sente sua tanto più non ha voglia di parlare con nessuno.
...continua...

venerdì 21 dicembre 2007

Regalo









Quale regalo non vorreste ricevere dalla persona che amate o a cui volete più bene?

lunedì 17 dicembre 2007

Al cinema...Cronenberg





















Si parla di mafia russa in La promessa dell’assassino, il nuovo film di Cronenberg. Ma, come al solito, l’argomento di base è solo una base su cui costruire ben altro. Si parte dalla freddezza e dalla paura di un’argomento che presenta voluti stereotipi (la crudeltà e il sangue, i mafiosi interessati a donne e vendetta, addirittura la vodka) e si continua con la famiglia, il passato, l’amore e l’uomo.
E' un film molto violento, non solo nella violenza, ma anche nei sentimenti, nella fredda paura che serpeggia in alcune battute.
Vecchia come il mondo la paura è il simbolo della vita umana. Nel Rinascimento c'era chi la paragonava ad una ruota, in cui tutto si muove con moto circolare, ad eccezione del suo asse geometrico. E come ogni simbolo, anche questo vale ad innumerevoli livelli. Uno di questi riguarda da vicino l'umanità, in questo senso, che la maggior parte di essa si nutre d'instabili opinioni, ma vi è sempre in qualche modo un centro che dall'instabilità è alieno e a cui, interiorizzando, si può giungere, così come si percorresse verso l'interno uno dei tanti raggi della ruota, fino al cuore di questo sentimento.
Questo è quello che secondo me si evince dal film "La risposta dell'assassino", questo il senso di tante scene cruente che rasentano altrimenti il gratuito.
Un buon film con qualche ma, di sicuro lo spaccato di una parte della società moderna, cosmopolita e affarista, di certo il manifesto programmatico dell'animo umano che sta intorno a tutto ciò.

domenica 16 dicembre 2007

La morte bianca















Ma perché in Italia quando muore un soldato in missione, quindi mentre lavora, retribuito, assicurato e con i contributi pensionistici, in Iraq ad esempio, e tralascio la querelle se si sia trattato di guerra di occupazione o missione di pace, non è questa la sede opportuna per questo tipo di discorso, si fanno funerali di stato in diretta televisiva, e quando muore un operaio in una fabbrica o in un cantiere, magari senza contratto, senza le dovute garanzie assicurative, la cosa si smorza subito senza il dovuto clamore e la giusta indignazione?

Ritengo, e per fortuna non sono il solo a pensarla così, che non sia da paese civile dare così tanto spazio sui media, televisione in testa, a i cosiddetti “delitti alza audience”, Garlasco, Cogne, Perugia etc. etc., solo per citare gli ultimi, e passare quasi sotto silenzio le morti bianche, le morti sul lavoro, quella piaga giornaliera che affligge ora più che mai il nostro paese.

Si ricordi qualche dato: il “cancro” degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Si è calcolato come dall'aprile 2003 all'aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 lavoratori. Numeri che fanno paura, numeri che dovrebbero indignarci, che dovrebbero spaventarci.

Infortuni che costano ogni anno alla società 50 miliardi di euro. Non è un problema di leggi, no, perché le leggi ci sono, il problema è farle applicare con severità e inflessibilità.

E’ necessario intervenire con un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti, in modo che le imprese si sentano più responsabilizzate.

Non si può risparmiare sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, spesso scegliendo maestranze poco preparate e precarie. Così facendo si va incontro a vere e proprie stragi. Senza retorica, senza patetismo di maniera: stragi. Come si potrebbero chiamare altrimenti tutte queste morti?

Negli ultimi 30 anni, poi, per la sicurezza sul lavoro non sono stato fatti significativi passi avanti, questo non solo è triste, è molto grave.

Cosa fare allora? Per prima cosa indignarsi e questo l’abbiamo detto, poi non farsi prendere dalla rabbia e dalla violenza, come invece in qualche caso è successo.

Sarcasmo, ironia, intelligenza. Queste le armi, insieme a quelle della magistratura e della politica, per arginare questo fenomeno doloroso. Ecco perché la canzone di questa settimana è una canzone di fantasia, non è una canzone pensata in italiano, una canzone cantata da un cantante italiano. E’ la colonna sonora di un vecchio film, di un vecchissimo cartone animato, che grandi e piccoli hanno visto da 50 anni a questa parte: Biancaneve e i sette nani.

Perché questa scelta? Perché far stridere il sentimento della morte con quello di un cartone animato a lieto fine? Perché l’ironia, la satira, perché uno schiaffo a favore di vento colpisce di più, perché è più forte la ferita che non ti aspetti piuttosto che una bombarda lanciata con preavviso.

Provate a fischiettar, vedrete che il lavoro, più leggero vi sarà! Provate a canticchiar,un semplice motivo, sempre allegri vi terrà!” Dario Fo cantava qualche decennio fa “sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re…diventan tristi se noi piangiam…”, una canzone da cabaret, una canzone di protesta intelligente. Colpire anche con l’ironia, colpire con la satira. Non si deve piangere si deve ridere, colpire con una risata, spiazzare chi ci toglie il diritto ad essere felici può far ancora più male, può sparigliare le carte in tavola.

Chi erano, allora, i sette nani? Dei dolci minatori che aiutano Biancaneve, che la ospitano, che la accudiscono nel momento del bisogno. Cantano quando tornano dalla miniera, cantano per rallegrare la loro ospite, cantano per superare la fatica, cantano per sognare.

Cantando prenderò, la scopa e dopo un po’, invece di spazzare, di ballar con lei vi sembrerà!

De Gregori, in un’altra grande canzone sul lavoro, “La ragazza e la miniera” diceva “e per fortuna che c’è sempre qualcuno che canta e la tristezza ce la fa passare…”, la canzone, le parole miste a musica servono anche ad obliare e obliarsi di fronte ai problemi, anche di fronte alla morte.

Con la morte da sempre si acuisce il disagio sociale, il vuoto di relazione che costituisce uno dei problemi più seri della nostra società. La canzone unisce, così come la risata. Solo uniti, solo ritornando a parlare di giuste, doverose rivendicazioni si potrà dare di nuovo dignità al mondo del lavoro, anche quello fatti dai “fantasmi”, da chi garanzie troppo spesso non le ha.

Indigniamoci per le morti sul lavoro allora, rendiamo la nostra protesta intelligente in archetipo di protesta, tra realtà e simbolo, pathos e ironia. Impariamo a fischiettar, proprio come accadeva nei cortei di protesta degli anni settanta, il sublime grado zero di ogni protesta non violenta.

Non perdiamo le chiavi di un paradiso appena scoperto, fischiettiamo, facciamoci sentire.


giovedì 13 dicembre 2007

parte due...racconto di natale





















Impotente, due lavori per guadagnare bene e non sentirsi da meno rispetto agli amici, una moglie comprensibile, un figlio bellissimo che vedevo troppo poco. E poi è natale e pensare di poter essere felice non vuol dire esserlo.
Che vergogna quando capisci che le tue parole assomigliano a quelle che avrebbe detto un attore in un dramma. L’attore le avrebbe usate per comunicare uno stato d’animo folle, le mie, invece, sembravano solo qualcosa di costruito, di artificioso.
Camminai lungo la strada. Avevo freddo, mi sentivo rattrappito. In macchina mi guardai allo specchietto retrovisore. Eppure quando era piccolo c’era anche chi diceva che la malattia non sempre assumesse una qualche forma fisica.
Sarebbe stato meglio farsi un taglio o bruciarsi la pancia. Almeno quelli sarebbero stati mali visibili, sarebbero stati inequivocabilmente presenti, lì sulla superficie del mio corpo, chiunque li avrebbe potuti vedere, tutti mi avrebbero compatito. Misi in moto e mi tornò questo pensiero.
Tornai a casa e fui letteralmente assalito dagli eventi.
L’infarto che questa volta aveva colpito mio padre non gli aveva lasciato più di un minuto di agonia. Meglio così, forse non ha neanche sofferto.
Ho sofferto io però. Ero seduto sul bordo del letto. Mi sentivo vivo e castigato, era una specie di choc chimico. Aveva ragione la puttana, solo con lei riuscivo ad essere me stesso. Godevo con lei, sognavo e non appena godevo la scacciavo come fosse una bestia, come se lei mi potesse ricordare il motivo per cui ero lì con lei. La puttana, mio padre morto mentre vedeva la televisione, mio figlio, erano tutti fatti molto concreti quella sera, ma ci sono altre cose concrete che non hanno nulla a che vedere con me. Era quello che non vedevo e continuai a non vederlo neanche quando mi ritrovai a casa di fronte a mio figlio che mi guardava. C’erano due vite in quel che vivevo: una vera ed una possibile.
- Quanto mi ami? – mi chiedeva continuamente mia moglie.
- Più di qualunque cosa. – rispondevo io.
Quelle strane creature, mia moglie, mio figlio, io.
- No, non fa per me l’amore. – disse alla puttana prima di entrare in macchina.
- Io ti invidio. –rispose la prostituta.
- Sì, buon per me. –
Poi cadde il silenzio . Era come se avessi avuto la sensazione di avere un’immagine chiara di una persona, un altro io che avrebbe saputo cambiare discorso, che avrebbe detto alla puttana di non essere interessato a quel che diceva.
Era un’abitudine e non potevo certo rovinarla così. Abitudine era una definizione perfetta. Abitudine suggeriva il lento ripetersi degli eventi e non contempo anche un vizio segreto.
Trovavo e trovo ancora ridicole altre parole: paura, vergogna e persino la parola amore.
Mio padre morto, la puttana che mi aveva detto di compatirmi, mio figlio che piangeva. Ho sempre pensato che comprendere le cose mi avrebbe caricato di nuovi obblighi, nuovi sensi di colpa che si sarebbero andati ad aggiungere all’eterno senso di inadeguatezza.
Perché di questo si trattava, di un dovere, di un senso di colpa.
Inspirai con gusto evidente. Nessuno sentiva il mio senso di segretezza.
Guardai mia madre che piangeva, anche mio figlio piangeva solo che lui non sapeva ancora perché.
- Tuo padre è morto. –
- Oddio mamma. – eppure per un istante non riuscii a comprendere fino in fondo come si stesse morendo.

racconto di natale...parte uno






















Inspirai con forza. La prima volta con una puttana fu alla vigilia di natale.
Una sera molto umida, proprio come questa.
- Tu dubiti ancora di me. Ma sei benissimo che io sono l’unica persona qui di cui ti puoi fidare. Io sono l’unico che riesce ancora a parlarti con franchezza, ricordalo. Cosa pensi che siano le donne? Puttane, solamente puttane interessate ai tuoi soldi, proprio come me. –
Respiravo appena. Mi aspettavano per la cena a casa dei nonni.
In sere come queste tutti credono di essere più buoni.
Era difficile trovare l’energia per salire in macchina e tornare a casa per la cena. Non avevo neanche la forza di volontà per tirarmi su la cerniera dei pantaloni.
L’umido cerchiava di fumo la luce dei lampioni. Il giorno andava affievolendosi fino al nero e lei era ancora seduta sulla sua poltrona da dove sentiva il peso della strada che le si depositava tutt’intorno. - Ci si può alzare ed uscire dalla propria vita. Il mondo qui fuori è grande. Mio figlio ha 4 anni e forse a quest’ora starà di fronte al televisore a vedere lo spettacolo delle marionette. Puoi avere una promozione sul lavoro, puoi licenziarti e con la liquidazione prendere un treno di notte e trovarsi con 10 mila euro in contanti al centro del deserto ad ascoltare i cani che abbaiano, senza che nessuno ti cerchi, senza che nessuno nel giro di decine di migliaia si chilometri quadrati sappia veramente come ti chiami. – Le cose non andavano bene. La storia che mi piacerebbe raccontare è che io non sono arrivato tardi, non avrei potuto lo stesso far niente per mio padre. Mio padre sarebbe morto lo stesso. Per qualche motivo me lo sentivo che mio padre sarebbe morto così. Nella nostra famiglia non è la prima volta che qualcuno muore d’infarto. Mio padre era un uomo estremamente fragile, ma senza cattiveria. Cercai di ricordarmi che non dovevo provare pena per me stesso. Pensai a mia madre a dovetti soffocare un singhiozzo. Lei prese quel singhiozzo smorzato come un segno dl mio dolore, invece che del mio futuro doloroso ed io dovetti soffocare un altro singhiozzo quando idi che i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Era una puttana, cazzo solo un sporca puttana del cazzo, eppure con due parole mi aveva tagliato fuori da tutto, mi aveva sbattuto in faccia la mia vita...

continua


martedì 11 dicembre 2007

...a proposito di factory girl e dell'età barbarica...digressioni






















C'è chi dice che Omero si fosse accecato per rimanere nel sogno e poter cantare, poter scrivere versi, c'è chi dice che delle volte si cerca il dolore volontariamente per poter provare una sorta di piacere inconscio, c'è chi addirittura fa di tutto per incasinarsi la vita anche nei piccoli dettagli di tutti i giorni, chi preferisce sognare invece di vivere... e così alla fine del cerchio siam ritornati al caso di Omero.

Detto questo mi sembra possibile parlare di due film che ho visto in questi giorni: Factory girl e l'età barbarica. Due film che mi son piaciuti, due film molto molto diversi, ma avvicinati da un comune senso di autodistruzione dei personaggi principali.
Come intrusi si muovono, come intrusi prendon parte alle vite degli altri.


Quella "sottile tendenza all'autodistruzione" e il concetto di autoimmunità, a mio avviso può offrire una chiave di lettura ai due film molto attuale nella società contemporanea.
Non appena vi è vita, vi è autodecostruzione, auto-immunizzazione, vi è la-vita-la-morte; la vita è quindi contaminata irrimediabilmente con la morte. Questa è l'arte, questi sono i sogni.
Un concetto già ampiamente espresso da Freud, che lo chiama "pulsione di morte". Di per sé, la vita ha infatti la tendenza a ritornare allo stato originario della vita inorganica: Se noi accettiamo come verità, non passibile d'eccezioni, che ogni cosa che vive muore per cause interne - tornando allo stato inorganico -, allora dovremo anche dire che 'la meta di ogni vita è la morte', e, guardando ancora più indietro, che le cose inanimate preesistevano a quelle vive. Alle pulsioni sessuali (pulsioni di vita) quindi si contrappone tale tendenza autodistruttiva chiamata "pulsione di morte".

I due film analizzano, allora, la struttura di autodistruzione nella vita-non vita come un fenomeno inserito in una struttura di autodistruzione della vita quale momento e movimento specifico di un'autodistruzione più generale di ciò che è.

giovedì 6 dicembre 2007

dialogo sempre di moda






























- Ora come ora negare è la sola cosa che ci resta, e noi neghiamo.
- Tutto?
- Tutto!
- Ma come non solo l'arte, la poesia...ma persino...è veramente terribile a dirsi...
- Tutto!

Padri e figli, di Turgenev

- ...è un piccolo topos potente, ma assai strano, e tali caratteristiche dipendono entrambe dal fatto che la passione, come il sogno, come il mal di vivere, è ad un tempo qualcosa di universale e particolare.
Quella passione autodiagnosticata e contemporaneamente negata è un misto di grandiosità e disprezzo per se stesso, di rabbia e viltà.
Tutti elementi che comunque fan del sentimento qualcosa di universale, in cui tutti noi possiamo riconoscerci.
Rifiutare una passione attraverso una passione altrettanto forte (la gioia con l'apatia o viceversa), è come chiedersi se il senso della vita sia provare meno dolore possibile o più piacere possibile.
In tutti e due i casi si tratta comunque di un approccio al problema carico di solitudine.
Questo è quello che penso di te, questo quello che ho pensato dopo una notte in cui non ti ho pensato, non ti ho sognato e non ti ho ricordato.
Trasformare qualcuno o qualcosa in un'icona equivale in qualche modo a renderlo un'astrazione, e le astrazioni dopo un po'annoiano. Questo è il rischio che corro, lo so, ed è anche per questo che io voglio continuare ad essere in quel che ti scrivo semplicemente me stesso, una persona normale, uno splendido "peccatore". -

- E allora facciamo un gioco, facciamo finta di essere tornati bambini. Quando giocano i bambini giocano quasi sempre all'imperfetto (facciano che io "ero").
In questo caso facciamo che tu "eri" un libro ed io il lettore. Pensi che di questo libro mi dovrebbe interessare di più la trama o il personaggio? Non dire - niente - perché da buoni e assidui lettori sappiamo che - niente - non è un vocabolo contemplato nell'ABC del buon lettore. -

- Sai, comunque, perché continuo a cercarti?
Perché sei una persona viva, e per viva intendo il fatto che il meglio penso che viva dentro di te.
E' la conflittualità quella che ci farà anche soffrire, ma è l'unica cosa che ci rende vivi.
Siamo in tre dimensioni noi, non siamo semplici animali dotati di istinti di conservazione e particolarmente scaltri.
Esiste, allora, una via d'uscita a questa specie di trappola? E' quello che mi hai chiesto, no? -

- Io sono uno stronzo, vanitoso, arrogante, egocentrico sprezzante egoista.
Sono una persona viva, però.
Credo che sia superficiale opporsi con un atteggiamento nichilista al sentirsi inutili, vuoti, demotivati e insoddisfatti.
Siam fatti per un approccio scettico nei confronti della vita. Io penso, allora, che ci si debba riappropriare delle piccole cose. Crediamo che le sensazioni, le passioni tout court, siano di competenza di alcune sfere particolari, come l'amore o l'amicizia. Non penso che sia giusto limitarsi a questo.
Per questo ti sto cercando in questo periodo, anche senza risposte, anche senza esserti amico, anche senza essere innamorato, perché credo che si possa trovare stimolante anche fare cose "assurde" come questa, perché proprio le cose assurde mi ha permesso di uscire da certi momenti di umidità intellettuale che mi avevano reso triste. -

martedì 4 dicembre 2007

....di ritorno

















Dicono i poeti che la notte ha la bocca di un sorriso...

...un éclair...

...puis la nuit...

aggiunge un filo alla tela breve di un vita...

...siempre fugitiva y siempre cerca de mi

venerdì 30 novembre 2007

Poche immagini
































E' presto, molto presto... Il traffico romano non ha opposto alcuna resistenza...colazione al quartiere "Prati"... Inizio ufficiale del torneo di scopa... Alessandra, una ragazza che ieri sera ho conosciuto in un piccolo teatro amatoriale, vince. Finalmente bevo in buon caffe'... Fortunatamente il mio ´posto vicino alla vetrata mi permette di godere dell'impagabile vista del cielo, uno dei più belli che abbia mai visto alle 7 di mattina . La natura ha la capacità di stupire ed affascinare in ogni momento. H 7/30... Ringrazio Alessandra per il caffe', ovviamente, avanzo per Roma. Eccola!Finalmente all'orizzonte celeste appare Roma, illuminata e sonnecchiante nella nebbia. Cala su di me una nuova malinconica frenesia...

giovedì 29 novembre 2007

Non so che fare oggi pomeriggio e allora scrivo...
































Ritrovarsi soli è un attimo. Basta un’occhiata sbagliata, una frase, un gesto improvviso.

E' sempre una questione di tempo.
Questo pensavo mentre andavo... e stavolta andavo via per davvero. Vie e palazzi che non conoscevo, che sentivo sporgersi su di me... profondamente.

Il mio primo giorno finiva cosí. Avrebbe potuto darmi di piu'?

Poteva essere, non ero sicuro di nulla. Avevo tante domande, e tantissime risposte. Il punto in quel momento era un altro, molto più semplice. Non volevo dormire da solo quella notte.


Ero sempre stato convinto che l’amore vero, quello di una vita, passasse una volta, una volta sola. Io l’avevo visto arrivare, l’avevo vissuto fino in fondo, giorno dopo giorno. E lei se n’era andata, dopo mesi di silenzi e urla improvvise. Parole sbattute in faccia, per fare un po' di rumore. Era una strada , ma quello che si intravedeva alla fine di quella strada non era un paesaggio. Erano parole, rimorsi, fraintendimenti, solo nuove paure. Lo sapevamo entrambi. Ci siamo andati a sbattere un giorno, contro quelle parole: ciao, amore, matrimonio, figli. L’ultima volta l’ho vista allontanarsi. Ha sorriso e mi ha detto 'Ciao, non pensarci più'.

Avevo superato i trenta, una laurea in lettere moderne, un fratello che viveva ancora con me.
Era settembre, ero ancora innamorato di una ragazza che non aveva più nessuna intenzione di far parte della mia vita, non avevo progetti reali. Ho deciso di partire. Senza pensare al ritorno.

L’ultima immagine che ho della mia città, è il mare agitato, incredibilmente grigio, dietro i vetri della macchina di mio padre.

Tre mesi a Parigi, scivendo lettere commerciali per una ditta e girando di sera per brasserie in cerca di una ragazza che mi ricordasse lei. Due mesi a Lisbona, insegnando italiano ai magrebini. Un anno a Tours, lavorando come correttore di bozze per una rivista italiana. Amori veloci, poche conoscenze, quasi sempre limitate all’ambito lavorativo o al sesso. Stavo imparando a stare solo. Non mi dispiaceva. Nel tempo libero camminavo per ore, senza sentire la fatica, senza meta, solo con un libro sempre in tasca e il mio i-pod che mi ricordava da dove ero venuto.

Mi piaceva perdermi per città che iniziavo a conoscere piano, scrivevo tutto quello che mi passava per la testa su un quaderno con la copertina rossa. Certo, la felicità l’avevo sempre immaginata un po’ diversa. Pensavo spesso a lei. La sognavo, tanto che alcune mattine mi svegliavo con la sensazione di averle parlato, di aver fatto l'amore con lei.

Sopravvivevo.
Arrivai a Roma una mattina di marzo. La città era paralizzata da due giorni di pioggia torrenziale, le strade erano intasate da un traffico assordante. Mi sedetti su una panchina da cui si poteva ammirare, lontano il cupolone. Non stavo bene, ero raffreddato. Non capivo bene perche' avessi scelto di tornare in Italia. In quegli anni avevo imparato qualche lingua, avevo conosciuto cibi diversi e visto giocare squadre di tante nazioni.

Per qualche ora ebbi l’impulso di tornare a casa, a Bari, non perché ne avessi voglia, ma perché avevo paura. In poche parole, stavo crollando. Entrai in un bar, era deserto. Presi un pezzo di pizza bianca e una coca cola light, nessuno sembrava accorgersi di me.

Sei italiano? Mi girai di scatto, e mi trovai di fronte una ragazza con i capelli castani e due occhi marroni comelegno bagnato. Sì. Ciao. Son sempre stato timido, anche quella volta non riuscivo a trovare due parole sensate da mettere in fila. La solitudine si faceva sentire, di colpo. Non sapevo cosa dire...

Bruxelles...cronaca del mattino



Grigia e bigia...non c'e' cielo, non ci sono nuvole...e' come un grande muro che avvolge tutto, come una tenda piena di polvere bagnata.

Mi son svegliato molto presto questa mattina...senza caffe', senza un te' caldo che mi accarezzasse lo stomaco. Dalla periferia della citta' ho preso due tram e la metro e son arrivato al Parlamento Europeo. Una citta' nella citta'. Informale, al contrario del nostro Parlamento, ma molto molto piu' accattivante. Di li' ho percorso tutto il grande parco reale e son arrivato nel cuore della Bruxelles commerciale. Fa freddo, ci sono 5 gradi...mi son rintanato in un caffe'...non avevo fame...volevo solo ripararmi dal vento e leggere un po'.

Ho ordinato un muffin al caramello pensando di mangiucchiare qualcosa seduto in una comoda poltrona di pelle modello New York anni 70...e invece mi han portato un piattone con un muffin al cioccolato con dentro un cuore di caramello, panna, biscotti e una montagna di cioccolato fuso...roba da duemila calorie!!!

Ovviamente non l'ho mangiato tutto...ho letto una trentina di pagine del mio libro...Aristotele e i Misteri di Eleusi di Margaret Doody e ho ripreso il mio cammino...

mercoledì 28 novembre 2007

Ancora un'ultima cosa...




























Oggi riflettevo sulla timidezza e su quello che essa può diventare in certi momenti sotto forma di reazione.

E' una forma di difesa, è l'intuizione precoce che la felicità si riesce a preservarla solo se viene dissimulata, è una ricerca solitaria, è un egotismo, ovvero il culto di se stessi unito alla conoscenza di sè?

Coincidentia oppositorum?

"Vivevo solitario come chi non si è limitato ad eccitarsi per il gradevole, ma è passato al terribile senza per questo aver rinunciato a niente".


"Mi si dirà che mi diverto a creare paradossi, a dare importanza al nulla, ma anche io ho i miei cari sconosciuti che mi penetrano prima di andare a dormire".

Partenza...ci vediamo la settimana prossima


















Finalmente Amsterdam!

"Vincenzino, mi raccomando non toccare..." Per una volta la raccomandazione sarà opposta: "metti le mani sulla città dove vuoi". Già, perché aspetto questo viaggio Amsterdam Bruxelles da solo da tanto, dopo mesi di duro lavoro. Voglio toccare ogni città che vedrò, voglio perdermi senza mappa e senza valigia.

Una scelta precisa. Qui si tocca tutto, calchi di impronte, canali, cioccolata, patate fritte, odori e fantasie.

martedì 27 novembre 2007

Ridere di sè



























Bisogna capire di aver superato il limite. Ho scritto troppo sull'amore, su quello che io a grandi linee considero amore. Ho esagerato e forse ho annoiato qualcuno.
Ho "usato" l'amore come allegoria emozionale, ma avrei potuto parlare di altro. Ho parlato d'amore per potermi collegare a tanti altri aspetti della nostra esistenza, per poter intrecciare più piani di lettura, anche se forse non riuscendoci, ho finito per risultare piatto e monotematico.
Pensavo in questo modi di dare l'opportunità a chi avesse voluto seguirmi di giocare con il "passionale" e "l'appassionato", con il "doloroso" e il "dolente", con la felicità e con quello che si crede il suo contario.
Per comprendere di aver superato il limite ci sono due possibilità:
Sentirselo dire da qualcuno
risultare insopportabile anche a se stessi.

Ridere ridere ridere ancora...

Vi suggerisco l'ultimo libro di Philip Roth...."patrimonio"

lunedì 26 novembre 2007

Parole tra le pieghe













ANCHE SE NON E’ NELLE TUE INTENZIONI,

TU RIEMPI D’AMORE E ILLUDI,

E’ SUCCESSO ANCHE A ME

[Tu vedi i colori di questa stanza, ma non hai mai visto la stanza]

Ci fosse stato un po’ più di caldo nella stanza non avrebbe sentito così la sua mancanza.
Risale con gli anni all’inizio del loro rapporto sfogliando un album di vecchie fotografie.
- Chissà come sarebbe stato avere una figlia insieme? -
- Come può essere il viso di una bambina che ormai non potrà più nascere? -
Sua sorella ha consigliato di dormire. Invece i pensieri della sua infanzia si affacciano come se venissero alla mente per la prima volta.
Sembrano così velati questi pensieri, tanto sfuocati da sentirsi ancora più soli.
Chiude gli occhi. E’ su una sedia in cucina. Ha un maglione nero a collo alto e dei jeans larghi.
Guarda un’altra fotografia. Rivede sua madre, il nonno che non usciva mai in inverno senza il suo cappello.

[I suoi ricordi sono tutti lì, in quella stanza]

Quando l’avvocato ha parlato delle pratiche del divorzio son sembrate un insieme di riguardi banali.
- Chiunque sa cosa sto provando trova tutto questo assurdo. -
- Sembra assurdo solo quando uno lo sa. –
E in ogni caso si tratta solo dei primi passaggi, l’iter, assicurano, è ancora molto lungo.

[Apre la porta, ma non vuole uscire]

La sua testa si riempie di suoni, di vecchi ricordi. Sente una vecchia canzone, il suo compagno di scuola parlare a voce troppo alta tanto da farsi sentire dalla professoressa. Sente i passi dei vicini di casa, una chiave entrare nella serratura.
Chissà cosa dirà non appena vedrà che è ancora lì.
Non ha lasciato la casa, anche se non ha un lavoro, anche se non ha un posto dove andare, vuole sentirselo dire. Vuole sentirsi dire: - Vattene da casa mia. –
Tante voci, ma come si fa a riconoscere una voce che non ha mai sentito?
La mano destra accarezza l’ultima fotografia dell’album. Settembre, pomeriggio di sole. Le dita accarezzano la pellicola fino a che non sente le parole, le emozioni di quella foto. Allora la mano torna indietro.
Chi è quell’uomo? Sente il sussurro di un uomo adulto che piange. Dov’è stata scattata quella fotografia?
Poi il pianto si sovrappone e ritorna una sensazione di silenzio.
I rumori della sua vita circondano quelle pareti.
L’aria di casa scalda le risate, le urla, le parole d’amore che si credevano vere.

[Ripenso a quante volte son stato lì]

Ha trascorso gran parte di quella giornata pensando a quanto accaduto.
Una strana sensazione: non c’era niente che non fosse il suo corpo. In quella strettezza si sentiva un inquieto senso di claustrofobia. La forma e le dimensioni dei suoi pensieri non corrispondevano a quelle del suo corpo.
Ora si ritrovano di nuovo nella stessa stanza. Un uomo e una donna: Loro due.
Guarda la scena come attraverso un obiettivo.
E’ felice di non aver mai detto fino in fondo quello che provava, di non aver mai lasciato il suo letto, di non aver mai avuto paura della fine.
Vorrebbe adesso però qualcuno in grado di riconoscere tutto questo non come un sacrificio, ma come qualcosa di inevitabile.

[La stanza non ha finestre, solo una porta]

Sente gli occhi addosso.
Si parlano, ma ognuno parla per conto suo. Non è importante quel che si dice, ma dire qualcosa. Sovrapporsi alla voce dell’altro, dire.
Se tutto fosse stato normale avrebbero parlato del freddo di quei giorni. Avrebbe letto qualche pagina di giornale oppure seguito dieci minuti di notiziario alla tv.
-Ti ricordi – avrebbe sentito una frase incominciare così.
- Certo – avrebbe risposto evitando la seccatura di quell’inizio.
Spesso i ricordi sono il momento migliore per accusare qualcuno.
-Ma perché non torniamo in Spagna quest’estate?
- Senzìaltro – risponderò sapendo che non torneranno mai in Spagna quell’estate.
- Hai visto il mio maglione rosso? –
- Non ti sta bene il rosso –
- E’ arrivata la bolletta del gas –
- Dovremmo mangiare meno dolci. –

Il nemico di fronte al nemico

























Mi piace parlare d’amore! Mi piace parlare di quello che io credo sia amore!!
Lasciamo i bambini a casa e pensiamo ad una lunga lettera d’amore rivolta a qualcuno che dovrebbe essere l’archetipo dell'amore di tuttie.
Ne verrebbe fuori un lungo racconto, una lettera o una partitura melodrammatica?
In tutto questo dovremmo dimenticarci di essere innamorati?
Intraprende cioè quel percorso che avrebbe fatto felice Simone de Beauvoir, la quale rimproverava l' incapacità di dimenticare se stessi, il portarsi appresso, sempre e comunque, quella personale sottintesa differenza, giusto lì, sotto la gonna o tra le gambe.
A volte ci si riesce, a volte, messa da parte "l'anarchia" si finisce per ritornare con i piedi tra le pagine della realtà.

Scrivere d’amore è pericoloso, se non inutile, io credo.
Ovidio recita: per mezzo della scrittura si trasmettono segreti per terra e per mare; anche il nemico legge gli scritti inviatigli dal nemico.


In una coppia d’esseri umani si possono nascondere due nemici?

E' un gioco delle parti o un seducente braccio di ferro? E’ vero: c’è nell’amore qualcosa di contraddittorio, sempre, l’insinuarsi proditorio della conoscenza razionale in un rapporto originariamente irrazionale. E il conflitto che ne deriva.
Sia chiaro: aveva ragione Petrarca quando parlava di ossimorica fantasia dell'amore.

domenica 25 novembre 2007

Quel che sono per non sembrare niente




























Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre;
ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.

Avrà il coraggio di dirmi che mi ha amato?
Non lo so. Non lo so e non mi va di essere interrotto per chiedermelo ancora.
Mi sarebbe bastato smettere di parlare per diventare di nuovo perfettamente innocente. Questo, però, mi ha spaventato e ho continuato a fare sempre gli stessi errori.
Che un uomo come me poi, così pigro nell’insieme, così pazientemente rivolto verso se stesso come verso il male minore, uomo di fantasia, orgoglioso dei propri pensieri, che sbaglia e sa di sbagliare, che un uomo così si sia lasciato scoprire senza perdere la sua credulità, potrebbe sembrar strano, quanto meno insolito.
Eppure è successo!
Due osservazioni allora:
primo: poco importa come sia accaduto.
E adesso dove? Quando? Per chi?
Senza più chiedermelo. Dire, rispondere io.
Secondo: la migliore cosa sarebbe quella di non decidere niente in anticipo e invece non è così.
Son giorni che ci penso e lo farò ancora.
Rimane poco di quel che è stato.

Insomma:
nessun cambiamento da quando ho iniziato a parlarne, solo apparenza; disordine, disordine delle parole che è forse un’illusione. La mia, quella di qualsiasi amante insoddisfatto.
Mi dico che è da temere qualsiasi cambiamento. E questa è un’altra assurda inquietudine.
Chi è allora il colpevole? Sono io?.
Cosa ho in comune con tutto ciò? Spero che qualcuno me lo faccia capire.
E’ la situazione, allora, ad averci fatto questo? Credo di sì, anche se poi penso che mi faccia solo comodo crederlo, tutto qui.
Ho paura di perdere l’equilibrio perché andare oltre vorrebbe dire lasciare quello che ho, andarmene di qui, perdermi, muovermi, ricominciare, dapprima sconosciuto, poi a poco a poco uguale a quello di sempre, tanto uguale da credere di non essermi mai spostato.

Ah, ecco: e se parlassi per non dire niente, ma proprio niente sul serio? Sarebbe bellissimo, ma…ma non credo che sia possibile, non ne sono capace.
Al massimo si potrebbe credere di farlo, ma poi ci si dimentica sempre qualche “Sì”, qualche “No”. C’è di che ribaltare tutta una storia con queste dimenticanze. No, non servirebbe a niente, perderei solo tempo.

Ma questi sono ancora dei ragionamenti. L’ho detto: dovrei andare oltre. Ho già detto diecimila parole.
Ho detto quel che sono per non sembrare niente.

Ad occhi che non ardiscono di guardare

























La voglia che ti spaventa in me non è la passione travolgente fra due occhi che la società chiama amanti ostacolati dalle circostanze, né l'amore platonico eccessivamente timido. È un amore che tu credi disperato, a senso unico, vigliacco ma eccitante. Un amore così intenso e inadeguato da spingerti a mentire più volte a te stessa per non accettare la realtà, e continuare a desiderare

sabato 24 novembre 2007

Ricerche logiche: dal dubbio di Carofiglio alle Voci di dentro di Eduardo








Vorrei instaurare una sorta di brevissimo quanto incompleto dialogo immaginario tra due personaggi con cui nel giro di 24 ore mi sono confrontato: Gianrico Carofiglio con il suo ultimo libro L'arte del dubbio e Eduardo De Filippo con la sua piece teatrale Le voci di dentro portata in scena a Bari dalla compagnia del figlio Luca.


Chi ha letto fino ad ora i libri di Carofiglio sa che hanno una caratteristica particolare: l’autore quasi si nasconde dietro alle parole dei suoi personaggi, specie dietro quelle dell'avvocato Guerrieri, parole che diventano per il lettore un vademecum per la verità. Carofiglio spende tutta la sua energia ed il suo acume nel farli parlare, cosicché, se parlano i personaggi, se parla Guerrieri, la sua voce raramente si sente, è come attutita, o meglio resa più splendente dalla fiction di un personaggio ruscito, quanto ormai commerciale, come il suo celebre avvocato.

Una delle cose che Eudardo, quello de Le voci di dentro, e Carofiglio hanno in comune è il ricorso al concetto di verità, relativa quanto però persuasiva. Entrambi insistono su questo concetto, nelle varianti del saggio e della commedia amara. Entrambi arrivano e partono dallo stesso punto, ma il percorso che compiono è ben diverso.

In questo quadro il compito di chi legge o osserva appare estremamente problematico: sarebbe certo segno di oscurantismo disconoscere il valore del passatempo, ma sarebbe segno di miopia modellare l’attività critica su quella passatempistica, soprattutto se si è convinti che molti dei problemi in cui ci imbattiamo da esseri umani, sono problemi passibili di soluzione scientifica.

Cosa voglio dire con questo? Il compito del ragionamento , in questo caso sulla verità e sul dubbio che questa presunta o vera verità instaura sulla gente, sembra essere quello di dissolvere o di trasporli, dubbio e verità, su un altro piano.

Il problema è rilevante. Carofiglio accenna, lascia vedere e non vedere, non si sforza più di tanto, Eduardo non ti lascia dormire, ti porta i sogni dentro casa.

entriamo nello specifico seguendo la descrizione che Carofiglio dà dell’immagine (quasi-positivistica) della verità. E' come se egli riconoscesse la perdita di valore che la verità ha subìto realizzandosi da realtà a fiction e viceversa, ma non sappia uscire dal dissidio che si apre tra il valore fatto verità della finzione, e la verità senza valore della realtà. E' un caso di perdita di unità di verità e valore. E il lettore attento se ne accorge.

L’idea del conseguimento della verità, che ha animato tutta la piece di De Filippo, invece, è volontà di potenza. Il sospetto che questo stato di cose sopprima alcune delle nostre istanze più profonde, che non sia in grado di rispondere a domande, la cui risposta è per noi fondamentale, domande quali (per riprendere i corrispettivi kantiani): "che cosa possiamo sapere della verità?", "che cosa possiamo sperare?", "che cosa dobbiamo fare?" viene subito smentito dall'evolversi dei tre atti. Uno è propedeutico all'altro, ma nello stesso tempo ognuno vive di luce propria.

Queste domande io le ho trovate anche nel libro di Carofiglio, ma molto più velate non tanto dalla terminologia giuridica, quanto da un desiderio di commercializzazione della propria opera.

Ogni cosa è così com'è e basta.

Il mio, allora, è un urlo malinconico nei confronti del malinconico avvocato Guerrieri. Dove sei finito? Anche tu affascinato dalla fama dello spettacolo, anche tu pronto a salire sul carro dello show business?

Evviva Eduardo, evviva chi una volta disse "si parva licet!" ed evviva chi non l'ha mai voluto dimenticare

venerdì 23 novembre 2007

mercoledì 21 novembre 2007

Dedicato ai miei pensieri a chi ero ieri e anche per me



Vivere o capire.
Le tue parole l'estrema illusione in un cielo che sparì.
Che ci tocca inventare per mantenere paradisi e tempeste che ci eravamo promessi,
ora che a tutte le mie poesie
tu preferisci un saggio di critica letteraria,
tu che aspetti di veder sorgere sempre lo stesso sole, giorno dopo giorno.

scusate

C’è anche paura di aver cercato troppa poesia e di aver illuso qualcuno. C’è paura di essere colpevole di utopia e sogni, di aver parlato di passione come lezione di vita, quando la vita forse è poi altra cosa: paura di aver creato piedistalli fragili, nervi indifesi, menti e cuori impreparati al vero. C’è silenzio, a volte come una magia positiva, come se il silenzio riassumesse tutti i suoni possibili al pari del bianco per i colori; a volte come oppressione insostenibile da lacerare subito con un urlo espressionista.

domenica 18 novembre 2007

...e va tutto il mio sguardo in quegli sguardi




















Fai che la mia vita che tu sai
io non l'abbia vissuta neanche un po'.
Non sono più lo specchio
dove la prima volta ti parlasti.
Sono il giorno meno il giorno che non ti ha lasciato la notte

Voglio vivere l'attimo che sembra, voglio amar ciò che non dura

























Non credo alle cose visibili, perchè sono troppo difficili da raccontare.
Tu vivi però nel futuro attraverso il presente, io nel presente attraverso il passato.
Mi chiedo come si faccia ad attraversare l'inferno rimanendo un angelo.
La risposta:
Quando? Qui!
E allora non pensare a quel che farai domani senza di me.
Semplicemente non farlo