giovedì 25 ottobre 2007

2007















E se nella nostra società si mettesse da parte il rumore, le offese e si ritornasse a parlare di ideali?
Pochi, semplici, magari anche scoprendone i limiti, senza perdere, però, la speranza e la voglia di realizzarne i principi.

Uguaglianza, ridistribuzione delle possibilità, amore per il prossimo contro la competitività sfrenata, spesso, troppo spesso senza regole. Sarebbe bello se per una volta in Italia vincesse il più bravo, il migliore, non il più forte e nemmeno il più furbo.

Un paese in cui si andasse oltre la riproduzione meccanica del privilegio: non il lavoro che si tramanda di padre in figlio, come accadeva nelle botteghe molti decenni fa, ma il padre che sistema il figlio, che lo raccomanda senza che questi abbia capacità e talento per prenderne il posto. Un paese in cui ogni religione abbia pari dignità, anche la non religione, pari dignità e rispetto anche per chi non crede e che giorno dopo giorno si sobbarca la fatica di vivere una vita da “giusto” e da “onesto”, senza il precetto e il buon esempio di Dio.

Si legge spesso sui giornali che l’Italia sta cambiando, che gli italiani sono ormai un popolo sfaccettato, pieno di contraddizioni, di sogni diversi. L’Italia è un grande paese, non dovremmo dimenticarlo mai e non solo per la nostra storia, per la nostra cultura, la nostra arte, ma per l’umanità che gli italiani san tirar fuori nei momenti difficili. Questo è un momento difficile, un momento di svolta, un momento da dentro o fuori.

O l’Italia cresce e diventa veramente una nazione moderna oppure se resta ancorata a quella che era perde l’ultimo treno con la modernità e non si rialza più.

Viva l’Italia non è e non deve essere solo un’invocazione, un urlo da stadio, una canzone degli anni ottanta, ma in questo momento dovrebbe essere l’inizio di una riflessione, la speranza che qualcosa cambi, cambi per cambiare e non perché le cose devono restare così come sono.

Come sarebbe bella, allora, l’Italia della parità dei sessi, della partecipazione attiva di tutti alle decisioni dello stato, l’Italia della responsabilità collettiva. Una nazione impegnata a ridurre il divario fra chi ha e chi non ha, una nazione che stani i talenti, che non lasci da soli i cittadini. Non è la solita predica del “vorrei”, non è il film “del paese dei balocchi” è il disegno di un paese appena civile, è l’Italia con addosso l’abito di una nazione moderna, con la cultura del lavoro, con la voglia di aiutare il prossimo non solo quando si parla di raccolte di denaro o di indumenti per scopi umanitari, ma anche quando si parla di evasione fiscale.

Sarebbe giusto ripartire dai principi, dai valori, dai fondamenti del vivere civile. Ripartire da qui per dare fiato, per dare un “perché” a tanti giovani, troppo spesso lasciati soli con se stessi, in balia di tutto quello che stato non è e non deve essere: opportunismo, arrivismo, anti-politica e, appunto, anti-stato, inteso come organizzazioni mafiose o para-militari. L’Italia non è questa, l’Italia, “quella del valzer e quella del caffè”, è l’Italia di chi vive in mezzo, di chi ha la porta aperta perché si fida del proprio vicino, è il paese di chi partecipa, di chi crede, di chi ha fede e non importa se questa fede ce l’ha per una religione, per una filosofia orientale o per una squadra di calcio che annaspa in serie b, l’importante è che creda in qualcosa, l’importante è che riprenda a credere in se stesso.

Viva l’Italia di Francesco De Gregori è questo: è il passo di un italiano, è lo specchio di ogni italiano di fronte alla propria storia, a quel passato che ritorna anche quando non dovrebbe ritornare “viva l'Italia che è in mezzo al mare, l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare, l'Italia metà giardino e metà galera”.

Al di là della forma, che comunque è importante, l’Italia deve ripartire dai contenuti, da cose semplici, perché solo così si può ridare fiducia. Basta con le zone d’ombra della politica, della finanza, dei servizi segreti. La politica per la società civile deve essere uno strumento attraverso il quale elaborare insieme idee e progetti innovativi. Solo così si può uscire dalla casta, solo così si può provare a portare l’Italia in quella zona di dignità che le compete.

Viva l’Italia allora, l’Italia dei diritti, ma anche dei doveri, l’Italia dei sorrisi, l’Italia in cui la legge sia davvero uguale per tutti, l’Italia campione del mondo, l’Italia dei comuni e non quella della pizza, della mafia e del mandolino.

martedì 23 ottobre 2007

L'importanza dell'ironia



















Se la vita di ognuno di noi resta fedele alla propria vita vuol dire che ci vuole proprio una buona dose di ironia per viverla.
Tutto è diventato tremendamente veloce. Ci si affeziona alle cose per poi dimenticarle due minuti dopo e così vale per le persone, salvo poi idealizzarle e vederle come approdi per le nostre solitudini.
Io amo quella donna...io mi sono innamorato di quel ragazzo che ho conosciuto in vacanza...come sarebbe bello vivere con lui...
Tutto questo ovviamente detto senza ironia.

Le nostre paure: sempre uguali; gli amori, gli amici: sempre uguali; le mie ansie: sempre uguali; uguali anche le mie risposte, forse. Perchè parlo sempre d'amore? Perchè è l'allegoria della nostra società, del nostro modo di raccontarci, del nostro modo di pensare e di pensarci.
E quante storie mi son raccontato! Le ho gonfiate, gonfiate, gonfiate.
Si ama e ci si dice:

Ma poi su, la vita passa. E del resto poco importa se si ama veramente oppure no. Si farà come abbiamo sempre fatto, si lasceràche le cose prendano il loro verso, che si aggiustino da sé. Io mi farò vedere, farò vedere che ci sono, che son lì anche io, ma alla fine rimarrò ad aspettare, non farò niente per cambiare le cose. Come sempre.
Sarò sempre io, la cosa più difficile da fare.