giovedì 4 gennaio 2007

Notte troiana




Notte troiana

Patroclo ormai ha il fiato sul collo, può persino capire le parole che gli dico.

Tutto è ricordo, davanti una macchia, dietro solo una mano nella mano in una grande gigantografia. Si avvicina la sera, cambierò il colore dei miei calzari, sceglierò nelle vie la donna che stanotte dovrò idealizzare, farò quel che si può insomma, se poi mi lasceranno fare.

Che senso allora, Patroclo, l'attaccarsi a qualcosa? Dimmi dove andrò a finire, dove poter cantare l'incredibile voglia.

Perché amore mio io non ho coraggio, ho solo un po' di fantasia passata a bruciare.

Sono un credulone che non voglio fermare, sono uno che crede ci sia sempre qualcosa di più serio in quel che si dice. Ho ancora vent'anni ma anche una faccia sempre più simile a quella di chi si crede Gesù.

Vedo la gente lavorare, morire per me, per un Dio che non conoscono, per una guerra che non c'è ed esserne felice, vedo tutti passare ma nessuno poi che si avvicina.

Ho lasciato perché ho un principio di malinconia.

Non ricordo più quel che per andare non deve essere andato, ma riparto in idea.

Lascio che la fisionomia misteriosa e piena di contrasti del mio aspetto alla fine mi dia ragione. Ormai forme seminude che mi ostino a voler seguire animano l'ombra troiana di quel che ti scrivo, di quel che forse anche da te vorrei.

Non parlo ancora da indistinto, ma significo ancora qualcosa, sembro anche io di fronte a queste mura ricco di provocante ilarità.

Ho pochi indizi, non so bene perché ami ancora l'amore amato. Accuso d'oltraggio la mia poca voglia di conoscenze nuove, ma non c'è paura d'errore, restituirò quel che ho scritto alla banalità dei cuori, la mia resterà solo una implicita confessione, come i desideri degli opliti che risalgono la corrente senza un motivo dato ai loro perchè.

Ormai siam tutti contenti, dal nostro campo possiam osservare l'osservato, quel mistero che i nostri padri chiamavan mostro o amore che ha le sue pene.

Il mio nome ormai non lo chiede più nessuno e anche mia madre per colpa mia non capisce più se piange o ride, gioca a cambiarsi, da qualche parte sa bene che ci sarà per noi una donna migliore, ma io non voglio dimenticar quel che è stato, non posso dimenticar tutte quelle notti passate per non sentire, per far finta di avermi con una schiava rapita, per credermi di non voler sapere quello che attorno mi stava accadendo. Voglio dimenticare tutte le persone che non ho più sentito, devo chiuderle in un solo grande velario, in ricordi da dietro una tenda.

Ho solo pensieri cattivi, ma so anche che tutto questo dovrà pur finire, so che ormai importa a pochi se in questa e in altre notti finirò per non dormire.

Ettore rovesciato la tua stella brilla,

chiama e spera nel passato

la tua notte che si mischia e ci scintilla.

mercoledì 3 gennaio 2007

Poesia



Accennare con le dita al tuo sguardo,
il tuo bacio sconosciuto,
perché nascosta di sorrisi
hai occhi neri e coperti come la notte,
perché amo la frangia dei tuoi occhi,
l’ombra,
quel capriccio di passione e ragione.
Bocca che contro bocca chiede
e in nessun mai libera,
ma incurva
e si mostra agli occhi svanita.

lunedì 1 gennaio 2007

Cambio di indirizzo




Cambio di indirizzo
(Changement d'adresse, Francia, 2006)

Regia di Emmanuel Mouret con Fanny Valette, Frédérique Bel, Dany Brillant, Emmanuel Mouret, Ariane Ascaride
85', Lady Film, commedia

Questa l’idea: per parlare di questo mondo occorre starne fuori o cambiare spesso il luogo da dove lo si osserva. Bella idea, ma segnata quando ci si mette la passione di mezzo a confondere le carte in tavola.
Così l’uscita dal mondo, il rifiuto delle sovrastrutture ecc. sa molto di colpo di fulmine alla francese, e tutto il film si incanala ben presto nei modelli di un’utopia amorosa post-Truffaut: quella bizzarra speranza che accese il film risulta interessante per le stratificazioni lasciate dai cambi di appartamento che simboleggiano i cambi di osservazione ed i conseguenti cambi di passione. Mantenere il passato nel presente è la scommessa di ogni passione. Una scommessa che può essere vinta solo dalla qualità delle domande che ogni uomo si pone, oppure dal caso. Proporsi di fare un ritratto dell'innamorato è ancora una domanda troppo piccola e forse inutile.

Un film veramente delizioso.

Tutti gli uomini del re


Tutti gli uomini del re (2006)

(All the King's Men)

Un film di Steven Zaillan, con Sean Penn, Jude Law, Kate Winslet, Mark Ruffalo, Anthony Hopkins, Kathy Baker. Genere Drammatico. 104 min. USA-Germania, 2006.


Che delusione!
Un film inutile, un grande cast sprecato per
tipici momenti di "illuminazione" politica all'americana che avvengono in una dimensione atemporale quanto frammentaria. In questa zona, dove il tempo sembra fermarsi, i personaggi evadono dalla loro vita; così facendo evadono dalla processualità del film si catapultano fuori, in un polpettone cinematografico assoluto che, più che fuggire la realtà, sembra accettarla ad un livello troppo poco profondo.
Un film da dimenticare in grande fretta. Sean Penn voglio ricordarmelo diverso da come l'ho visto questa volta.

Dopo il matrimonio





Cast

Rolf Lassgard

Mads Mikkelsen

Sisde Babett Knudsen

Anno: 2006
Nazione:
Danimarca

Distribuzione: Teodora Film
Durata: 120'

Regia: Susanne Bier:





L’estetica della regista di "Non desiderare la donna d'altri" riporta alla luce il tema della felicità apparente attraverso la dialettica del senso e del non senso. Nel mondo abbandonato dalla felicità l’immanenza del senso, che caratterizzava il mondo occidentale, è andata perduta. La vita nell’epoca attuale rimane abbandonata al non senso, alle “sue crepe e ai suoi abissi” e la ricerca del senso, ovvero la ricerca della felicità, si è fatta problematica. La formaromanzo cinematografico nasce proprio come esigenza di ricerca di questo senso perduto e questo film, attraverso le forme di questa ricerca, traccia una fenomenologia del dolore moderno. Nonostante le numerose affinità fra il suo film precedente e questo, la Bier non rinuncia ad una carica di ottimismo sconosciuta nel "Non desiderare...". Il motivo di questa presenza ingiustificata, tanto più che ogni inquadratura (dei fantastici primi piani inseguomno il dolore, ogni sua forma, sul viso dei protagonisti) sembra aprire letture degli eventi sempre nuove, è da riscontrarsi nella particolare fisionomia del genere, che difficilmente si lascia rinchiudere in una sola tipologia: film drammatico. Se infatti il passaggio dal film drammatico al film intimistico comporta il trapasso dal film del “l’idealismo astratto” a quello del “romanticismo della disillusione”; l’analisi del tempo e dei finali nel film, portano quest’ultimo addirittura fuori dalla "linea" tragica la quale ammette la ricerca del senso solo in qualcosa di compiuto (cfr. eschilo), e lo rende suscettibile di un’interpretazione che si avvicina di molto alla ‘linea-Dostoevskij’ , che al contrario ricerca il senso del tragico e del dolore nel non senso della vita.

Un bel film che forse rivedrei.



Urbi et orbi







Urbi et orbi (come ogni anno)

"Misi me per l'alto mare aperto"
un verso di 700 anni fa. La grandezza di questo verso sta nell'aver scritto
"misi me" e non mi misi.
Io non sono quello che sono, sono altro. Questa è la grandezza, la
vorticosità di questo verso.
Questa è la grandezza di chi ha scritto questi versi, la gioia di chi
rincorre, l'ingegno di chi sorride quando potrebbe ridere.

Dunque tergiverso:
E' la fine dell'anno più brutto della mia vita, è il mio ottavo Urbi et
orbi, e quest'anno è un appuntamento a cui tengo molto.
Come ogni 31 gennaio mando a tutte le persone che ho in rubrica la stessa
mail, le stesse considerazioni, le stesse personali inutilità.
Una mail per tante persone, persone diverse fra loro, diverse per età ed
interessi, persone che ho conosciuto e che mi hanno conosciuto in modo e in
veste diversa. Amici di una vita ed altre che in qualche modo ho amato,
semplici passanti o ricordi che diventano sempre più belli. Tutti insieme
nella stesa cerchia, sulla stessa bicicletta, in un'unica mail.

Ma torniamo a noi:
perché quest'anno sia stato di merda non credo che sia giusto dirlo.
Diventerebbe un lamento troppo serio, sarebbe patetico star qui ad elencare
tutti i morsi alle mani di quest'anno.
Parliamo d'altro allora, non pensiamoci, facciamo finta che sia già finito.
Ho un maglione blu, la camicia bianca, le mani fredde e le mie vecchie
scarpe da ginnastica. sto ascoltando Paolo Conte dal mio computer, fuori c'è
un sole trascurato e questa sera passerò una sera particolarmente
tranquilla.

Sono coinvolto da un duplice desiderio.
Da una parte so e mi dico che sono un ottimista, da un'altra però non perdo
occasione per esternare tutto il mio scettico cinismo.
Imporre alle mie passioni la maschera della discrezione e camminare con il
dito puntato sulla maschera?
Questa domanda è stata un po' il fil rouge di questi mesi.
Ogni passione ha alla fine il suo spettatore, ce l'ha l'amore, come la
rabbia o la depressione.
Il problema non è neanche questo, il problema è doversi riconoscere in
questo, è accettare quanto questo condizioni la propria vita, quanto e come
la orienti.

Se mi lamentassi farei come quello che ci acceca per credere poi di non
essere visto.
Ho superato da tanto tempo la fase di chi cerca la com-passione degli altri
e al contempo la loro ammirazione.
Al liceo ero così, non volevo ammetterlo, ma ero così.
Non giocavo, rischiavo.
Rischiavo perché erano pochi quelli che volevano capirmi, quelli disposti a
perdere un po' del tempo dei loro 17 anni per le idee che avevo io (alcuni
di quei pochi sono ancora qui e questo mi fa particolarmente piacere e li
ringrazio).
Lamentarsi ora sarebbe un'operazione da cabaret, da film americano, dovrei
solo trovarmi una biondina carina che si innamora del ragazzino barricadero
del college, del ragazzino che amava Leopardi (sono anni che non lo leggo
più, ma mi riprometto di farlo), De Andrè e Rudy Voeller e verrebbe fuori un
perfetto film da trasmettere su Italia 1.
Invece questa mail ha il compito di accennare e ti tacere, di imbrogliare le
carte in tavola, di non far capire più niente.

Con il mio linguaggio io posso fare tutto: anche e soprattutto posso non far
capire niente.

Questo dicevano gli amici francesi e questo credo che debba essere anche un
grande insegnamento per chi aspira a non prendersi troppo troppo sul serio.
Le mie parole, allora, sono un bambino cocciuto (che bell'aggettivo
"cocciuto", lo usava spesso mia nonna, erano anni che non lo sentivo più), i
miei desideri un uomo troppo cresciuto (e così ho fatto anche la rima!)

Del 2006 so che, comunque, devo salvare qualcosa.

Fatti non fummo per vivere come bruti
ma per seguir virtude e canoscenza

e per questo voglio ricordare Tours e le passeggiate furiose nei vicoli del
Marais,
le serate con cinema e pizza, il sushi, aver contribuito a mandare
Berlusconi a casa, gli articoli di Curzio Maltese,
le passeggiate mano nella mano, il nuovo disco di Damien Rice, la Juventus
in serie B, la felicità che mi dava leggere libri di Carofiglio nei caffé
di Parigi, i muffin pera e cioccolato, le risate negli spogliatoi dopo aver
giocato a pallone con gli amici, la voglia di scrivere ancora, di stringere
i pugni, mio fratello, l'entusiasmo, l'amore per quello che faccio e voglio
fare, la malinconia, la mia guida, la persona che se non mi ha insegnato a
pensare, mi ha insegnato a farlo nel modo meno sbagliato.
A questa persona devo tutto,
come tutto, come sempre.

Murakami, Springsteen, Blob, De Andrè, Totti, Moretti, Allen, Munro, Loach,
Radio Capital, la era del 29 Luglio con gli amici, le gite a Matera, la
speranza di aver iniziato a capire quel che voglio fare da grande, la
certezza di non aver smesso di crederci, di incazzarmi, di emozionarmi.
Insomma...inizia il 2007 ed io so di avere un occhio nero e uno blu.

Noi ci allegrammo e tosto
tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno del primo canto.
tre volte il fé girare con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,
infin che'l mar fu sovra noi richiuso.