giovedì 28 giugno 2007

Ma da quando le bestie preferiscono i rimpianti?






















Il bagno non è grande, non ci sono finestre, ma è illuminato come un palcoscenico. Ci sono creme di ogni genere, giornali e riviste, ci sono campioncini di profumo, ci sono creme depilatrici. Uno specchio, due accappatoi, una bilancia: 52 kili, non uno di più, altrimenti si inizia a ridurre le fette biscottate della mattina e si finisce con il pane. Se faccio l'amore con questa donna, la immagino così, con una vita sottile e gambe non certo muscolose. Parlare con lei mentre si fa l'amore ha un senso tutto nostro che non voglio ancora indagare. E' triste dopo aver fatto l'amore? E se invece il triste fossi io?
Lei non sembra prendere in considerazione la mia fantasia e questo mi dà spesso da pensare.
Se non faccio l'amore con lei divento triste e insofferente, ma se lo faccio e non sento in lei tutto il trasporto che provo io è peggio. Insomma la mia vita dipende molto dal suo trasporto, o meglio da quello che io di volta in volta penso di avvertire nei suoi gemiti, nelle sue parole su di me.
Trani, Luglio 1995, studentessa di lettere. Non conosco molto di questa donna. Questo non mi aiuta ora dopo tanti anni a fare l'amore con lei. E' bella, ma non vuole sapere di esserlo. Meglio.
Continuo a masturbarmi pensando a lei e questo è bello. Mi piace scopare, ma mi piace anche pensarlo. Cerco di immaginarla senza di me, ma non ci riesco, non voglio.
Ieri ho scritto una frase su un quaderno di quando andavo ancora all'università:
Mi manca quando non c'è.

mercoledì 27 giugno 2007

Io proprio io...oggi


















Mi chiamo Vincenzo, accrescitivo di Vinci, il mio vero nome. Sono alto un metro e ottantaquattro e peso 71 kili anche se dovrei pesare un kilo in meno. Ho gli occhi castani come i bambini della mia terra, occhi infossati che paiono due canne di fucile a salve. Ho capelli mediamente corti, la barba quasi sempre non fatta, mani piccole e amo il folk americano.
Non sono un eiaculatore precoce e non mi puzza l'alito, amo tagliarmi le unghie quasi ogni giorno, non ho tracce di acne sul volto, denti forti e basette pronunciatissime.
Forse non sono il sogno di ogni donna, ma faccio la mia parte se osservato da una media distanza. Anche nel mangiare mi distinguo. Amo la pizza e il cibo giapponese. Non bevo, solo coca cola e acqua gassata. Non amo ballare e non so cantare. I miei amici dicono che ho carisma e che riesco ad affascinare le ragazze anche quando non lo voglio, i miei nemici dicono che sono un presuntuoso, una testa di cazzo. In entrambi i casi hanno ragione, anche se potete immaginare quale caso io preferisco. Sono eterosessuale convinto e possiedo una malinconia feroce. Non ho mai avuto ferite da arma da fuoco, ma sulla tempia destra porto ancora un piccolo segno di un oggetto lanciatomi da mio fratello nel 1985. Non ho mai fatto a botte con nessuno, ma sono polemico e mi ficco sempre in qualche discussione. Non mi piace la gente lagnosa, nè quelle che si prendono troppo sul serio. Esiste una ragazza che si chiama Ilaria che mi piace un casino.

Sotto le stelle del messico a lavorar











Una buona legge sul lavoro noi italiani non l’avremo mai, o meglio, non l’avremo in questa legislatura, non certo grazie a questa maggioranza, che oggi, a ragion veduta, potremmo dire più di potere che politica. E’ la sconfortante conclusione a cui io, e non solo io, sono arrivato dopo aver ascoltato le parole del Presidente di Confindustria Luca Corsero di Montezemolo, sempre più ombra inquietante sulla guida politica di questo paese e di alcuni ministri del governo Prodi, in particolare del Ministro del Tesoro Tommaso Padoa Schioppa. Ma ciò che più mi colpisce e ferisce è che non è di questo che si parla in questi giorni, per assurdo non sembra questa la priorità di un governo di centro sinistra impegnato a fronteggiare un malcontento che si fa sempre più generalizzato e dilagante ed una sperequazione economico-sociale da nazione dell’america latina. Il problema del lavoro, purtroppo, sembra uscito dalla priorità dell’agenda di governo. E invece mi chiedo cosa importi di più alla gente la missione in Libano, la costituzione europea, le intercettazioni telefoniche di alcuni politici o una legge a tutela del proprio lavoro? La miopia di questo governo non sta solo nel non essere riuscito fino ad ora a rispondere a quelli che geneticamente dovrebbero essere i propri elettori, i lavoratori, ricordiamoci che la sinistra nasce come argine politico a difesa dei salariati, dei pensionati e dei giovani in cerca di occupazione, ma l’errore sta nel non aver capito e nel non aver fatto capire, che una buona legge sul lavoro, una legge che finalmente metta da parte le storture della legge 30, la cosiddetta Legge Biagi, porterebbe vantaggi, anche e soprattutto in termini fiscali e di qualità del lavoro, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni. Negli ultimi 15 anni l’occupazione flessibile ha tolto dignità a quello che in barese si dice “la fatica”, il punto centrale su cui si fonda la nostra repubblica: il lavoro. La convinzione, un po’ ipocrita, di pensare che una maggiore flessibilità lavorativa supporta e accelera lo sviluppo sociale ed economico, nonché quello occupazionale, è la stessa da più di quindici anni, ma non credo ormai che sia in grado di convincere più nessuno, neanche quelli che magari continuano ad incensare i vantaggi della elasticità, protetti dal fatto che da questa flessibilità lavorativa non sono comunque mai toccati in nessun modo. Ma cos’è la flessibilità allora, cosa vuol dire in termini pratici? Vuol dire permettere alle imprese, a quelli che un tempo si chiamavano “padroni”, di gestire la facoltà di ingaggiare e retribuire la forza lavoro solo quando è necessario e finchè è necessario. In altre parole i lavoratori sono ingaggiati solo finchè la produzione lavorativa lo rende indispensabile, poi vengono lasciati a casa senza alcuna retribuzione e senza nessuna tutela pensionistica. Questo è il destino dei famosi co.co.co, dei lavoratori con contratti di collaborazione a tempo determinato, di quei giovani che formalmente sembrano autonomi, moderni liberi professionisti, ma che in realtà non sono altro che subordinati alle esigenze del mercato, pedine, come dimostrano i dati relativi alle applicazioni della legge 30 sulle collaborazioni continuative o sui lavori a progetto.

Sotto le stelle del Messico a trapanar, nelle miniere di petrolio a dimenticar, e nelle sere quando scende la sera andar. Sotto le stelle del Messico a trapanr. Sotto la luna dei tropici a innamorar, dentro le ascelle dei poveri a respirar, sul pavimento dei treni a vomitar e quando arriva lo sciopero a scioperar”.

In Italia il tanto sbandierato aumento del tasso di occupazione non è certo dovuto ai benefici di questa ed altre leggi sulla flessibilità introdotte dalle due precedenti maggioranze, ma solo alla regolamentazione (cosa buona e giusta, per carità) dei lavoratori in nero e clandestini, di chi, però già lavorava. Io credo, invece, che giovani e meno giovani abbiano il diritto di poter gestire il proprio futuro grazie a lavori che non abbiano una data di scadenza, come qualcosa che poi va a male.

Ma che società pensiamo che si possa costruire poggiandoci su una generazione dai redditi e dalle prospettive sociali incerte? Ma lavorando in queste condizioni che pensioni pensate che ci possano essere fra 25/30 anni? Vergognose!

Ecco che la flessibilità diventa precarietà, precarietà di un’intera vita.

Ma perché allora ci siamo ridotti così? Dove sono finite le conquiste del lavoro? Ormai si ragiona solo in termini di PIl e non più di dignità, di qualità della vita. Ma se questo agli economisti può anche andar bene, così come ad alcuni settori delle imprese, settori miopi e non certo lungimiranti, non può e non deve andar bene a chi dovrebbe fare della difesa dei lavoratori il proprio credo ideologico. So benissimo, tuttavia, che di fronte ad un declino del genere limitarsi a proporre l’abolizione della legge 30 sarebbe comunque solo un piccolo segnale, piccolo, ma importante, un segnale di rotta, però, per tanti elettori delusi e scontenti, ma anche per quanti non sono elettori di questa maggioranza, ma cittadini, uomini e donne che vorrebbe vedersi comunque tutelato il proprio futuro lavorativo e sociale.

“Il lavoro non è una merce”. Bisogna ripartire da qui, da questa convinzione. Solo così anche le leggi che devono essere fatte potranno partire dal presupposto che il lavoro non può essere separato dal lavoratore e che salvaguardando esso si tutela la sua l’identità sociale e familiare, la sicurezza economica, il futuro dell’individuo e della società. Il lavoro non è un cellulare, un computer, un auto che si cambia quando non la si usa più, se solo si capisse questo, se solo gli stessi lavoratori tornassero a sentire questo, già avremmo fatto un piccolo passo avanti verso una società migliore, più vantaggiosa anche per le imprese, perché con maggiori certezze ci sarebbero più spese e il denaro circolerebbe con più fluidità, insomma ci sarebbe meno stagnazione economica. Ecco perché speravo e in fondo in fondo spero ancora che questo governo di centrosinistra faccia qualcosa per il lavoro, altrimenti noi e nostri futuri figli finiremo così, come l’operaio messicano della canzone di De Gregori che disilluso torna da dove è partito “sotto le stelle del Messico a ritornar, e quando arriva le nuvole a rincasar, e quando piove nel fango a transumanar. Sotto le stelle del Messico a naufragar”.

lunedì 25 giugno 2007

A qualcuno piace caldo
























Mamma mia, ci sono 47 gradi adesso fuori. E' la prima volta che andando in macchina sentivo fiamme entrare dal finestrino. Prorpio ora mi si doveva rompere l'aria condizionata?
Favonio, scirocco, alta pressione...tutto va al rallentatore. I riflessi, la digestione, i pensieri, le sensazioni. Devo lavorare, anzi dovrei, ma mi sa che per le prossime ore mi lascerò azzerare dal letto.
Non mi va ma devo anche uscire per fare la spesa...
Rimpiango i tepori novembrini?
Fra le cose che amo fare di più c'è giocare a pallone e fare l'amore...ma con questo caldo è possibile?