giovedì 24 maggio 2007

Ciao Vì...

















La tua voce s’arrampica a un balcone, soffia all’amato le parole da dire all’ affacciata. La tua voce è Cyrano nascosto nel giardino che insegna al maschile smemorato come bussare a un bacio di ragazza. Sono sillabe di pioggia, da levarsi la giacca e appoggiarla sulle spalle scoperte di una donna, una delle poche mosse sacre in dote a un uomo.
Le tue parole servono a un ragazzo per improvvisarsi uomo, servono a un uomo per tornare ragazzo. Una donna sospira : fosse vero. Finché scrivi è vero e poi per altri cinque minuti dura l’effetto di raccolta dei frantumi maschili ; stanno di nuovo insieme l’adulto e il rompicollo. Finché scrivi ecco di nuovo una sagoma d’uomo nella stanza. Allaccia il braccio attorno alla ragazza...cambia il tuo nome, chiamati coda di lupo.
Niente altro che amori, polpa scoperchiata da un coltello che scortica, sbuccia, e sotto, il frutto è bianco. Solo amori, il loro passo a due disturba, distoglie : due innamorati vanno, dietro a loro si accodano le occhiate di noi altri soldati costretti dentro i ranghi, invece di sbandare, sbottonare il colletto e darsi da correre come loro.
Niente altro che fiori, compratene un mazzetto, portatelo sudati, trafelati, alla creatura preferita, amata.
Questo voglia voglio ricordare di te, Vincenzo, Vì.

L'inizio dell'opera















Cerco cose che hanno senso ma sono pieno di dubbi e mi sento continuamente fuori posto.
E' come se avessi addosso qualcosa di appiccicoso, di unto.
Mi sono fatto una doccia, ho bevuto tanta acqua, ma questa sensazione non è andata via.
Non va mai via, mai quando ti senti così.
E' notte, io ho voglia di scriverti e raccontarti perchè mi sento giù. Paura e voglia di parole ad una sconosciuta. Capiresti perchè cerco proprio te? Non so.
Non cercarti sarebbe la cosa più razionale fatta stasera. Non so come e non so perchè invece ti ho scritto.
Vado a dormire o a provarci.
Tu dimentica tutto se puoi.

mercoledì 23 maggio 2007

6 mesi di blog









Sono passati 6 mesi da quando è nato questo blog, sei mesi di post, dei mesi di pensieri, di ricordi, gioie (poche) e molte amarezze.
Doveva essere una moleskine in fieri e così è stato.
In pochi mi hanno scritto, ma forse me lo immaginavo.
Sono contento però di non essermi stancato, di aver continuato a mettermi in gioco in questo che poi altro non è che un gioco.
Spero che in qualche modo vi abbia fatto compagnia, che non vi abbia troppo annoiato.
Comunque gazie per avermi letto, grazie per esser passati sui miei perchè.

Autoconvincimento in amore vuol dire amare











A tutti i non-nati, a tutti i nascituri, a tutti gli innocenti grumetti di indifferenziata nientità: Alla larga dalla vita, alla larga dall'amore e dall'amicizia
Io me la sono beccata, la vita. io mi sono ammalato di vita. ero anch’io un batuffolo di indifferenziata, un insieme di parole che non volevano dire niente e poi , pifff, s’è aperto all’improvviso uno spiraglio, uno spioncino. La vita....l'amore...Luce e rumore si sono riversati dentro il nulla. Delle voci hanno cominciato a descrivere me e il mio ambiente...poesie, baci, promesse, illusioni. Non potevo reclamare, contro quello che dicevano, né ricorrere in appello. Dicevano che ero un maschio...Vincenzo, e questo era quanto. Dicevano che si era nell’anno 1988, e questo era quanto. Dicevano che mi trovavo a Bari, in Puglia, Italia meridionalee anche questo era inoppugnabile, purtroppo.

Non s’azzittivano mai. Anno dopo anno, ammucchiavano dettaglio su dettaglio...parole parole parole...amori amori amori. Ancora seguitano e non mi lasciano neanche dormire. Io non riposo mai.. Lo sapete cosa dicono adesso? Dicono che siamo nel 2007, e che io ho 32 anni quasi.
Bla bla bla. Ma ci credete? Secondo me non è vero. Io...nessun uomo sarebbe riuscito a resistere a questi ritmi.

[...] Una volta un mio compagno di scuola mi disse, che la più gran delusione della sua vita era stata quella di non avere mai fatto l'amore. Era l’ultima sua illusione( e forse aveva un certo fondamento) quella di essere nato per coprirsi di gloria in campo amoroso. Ogni tanto ci penso ancora...

...volete saper una cosa? L'uomo se sapessi che cos'è l'amore non si innamorerebbe mai...

La libertà di scegliersi libero












Ognuno è libero” di pensarla come vuole, ognuno è libero di fare quello che gli va. E’ questo il vero senso della parola libertà. E’ questo il liet motiv della canzone di Luigi Tenco Ognuno è libero. Una canzone vecchiotta per essere sinceceri, ma una canzone che purtroppo i recenti fatti di cronaca politico-sociale ci hanno reso ancora tremendamente attuale.

Fare quello che si vuole senza andare ad intaccare le libertà degli altri. E’ quello che dicevano i filosofi illuministi, è quello che diceva Tenco a metà degli anni ’60, ed è quello che dicono anche le costituzioni degli stati più moderni e liberali (non libertari o liberisti, attenzione, liberali). Questo vuol dire esercitare la propria libertà. Il proprio diritto-dovere ad essere e sentirsi liberi.

Certo, si sa che spesso le parole durano più delle cose che indicano e che ancora più spesso possono avere più di una vita. Sembrano fuori moda, superate, come se indicassero cose o valori ormai acquisiti, e invece, all’improvviso, tornano a riempirsi di luce, a diventare tremendamente attuali.

Sta accadendo questo per la parola libertà, sta succedendo questo a proposito di diritti richiesti da una parte minoritaria della nostra società. E’ successo l’anno scorso quando si parlava di fecondazione eterologa, se ne riparla adesso a proposito dei DICO, se ne è parlato per l’aborto, per il divorzio, se ne sarebbe dovuto parlare per l’autanasia o morte assistita.

Io credo nella libertà, credo nell’intelligenza delle persone, credo che uno stato non debba imporre, ma debba mettere i cittadini, tutti, senza distinzioni di classe e cultura, nelle condizioni ottimali per scegliere. Penso che uno stato moderno, qualunque esso sia, debba garantire uguali possibilità di partenza, solo così si possono evitare odi di classe o di etnia. Solo così si può veramente parlare di qualità della vita. Non dovrebbero esistere cittadini di serie A e cittadini di seconda serie. Ma dovremmo poter almeno pensarci come “tutti uguali”, con le stesse libertà e con gli stessi doveri. Prendiamo l’esempio delle famiglie, così attuale sui media degli ultimi mesi. Io credo nell’amore, nei sentimenti, nella voglia di condividere insieme alla persona che amo dei progetti, dei sogni, delle prospettive di vita comune. Penso che tutto questo sia un po’ il terreno comune di ogni coppia, sia che si parli di gente sposata, sia che si parli di conviventi. Non vedo neanche quale possa essere il “problema”, il punto di separazione per le coppie omosessuali. Io, infatti, sono convinto che stati moderni, che società moderne e liberali dovrebbero garantire uguali condizioni civili a tutti, omosessuale ed eterosessuali. Credo che questo sia il cuore della libertà. Non credo che l’approvazione dei DICO possa andare ad intaccare la libertà di tutti quelli che vogliono sposarsi in chiesa, che vogliono seguire quella che, anche giustamente, per secoli è stata la strada più comune per le coppie che volevano stare insieme. E allora non vedo perché, non la chiesa, “il pensiero ecclesiastico” su queste vicende è un pensiero politico, cieco, infatti, è colui che non vede la chiesa come una forza politica (purtroppo siamo molto lontani dalla parole “conciliaristiche” di Giovanni XXIII sul disimpegno della chiesa in questioni politiche) ed è allora quasi naturale che questa chiesa parli così, ma mi chiedo perchè la gente comune si agiti così tanto contro l’allargamento anche agli “altri” di diritti naturali che loro liberamente hanno deciso di acquisire con il matrimonio, ma che questi “altri” invece vorrebbero riconosciuti “solo” per il fatto che “stanno insieme”. Io non vedo quale sia il problema. La società si evolve, come si evolve il codice civile, non capisco perché oggi, nel 2007, in una realtà come la nostra, non si possa dare a quelli che vogliono essere una famiglia senza sposarsi i diritti di quelli che invece scelgono liberamente di sposarsi. Ognuno è libero di fare quello che vuole, sempre nei limiti, come detto, di non prevaricare la libertà degli altri. Ditemi allora che fastidio do se decido di non sposarmi né religiosamente né civilmente, ma chiedo che mi sia riconosciuto un pari trattamento giuridico se convivo con la mia compagna, se anche io e la mia compagna siamo famiglia?

Noi giovani, l’ho detto più volte in questa rubrica, viviamo, siamo il centro di una società pluralista, almeno a parole, una società che ci ricorda giornalmente la nostra esistenza precaria. Sorrido, perché anche questa parola “precario”, anche questo aggettivo è sempre più tremendamente di moda. Una società che ci offre lavori a termine, che ci porta a vivere in case, o meglio in bilocali precarissimi, fatiscenti, ma costosi, che difficilmente ci permette di andare via dalla famiglia prima dei 28 anni, che ci impone ritmi comunque frenetici, in cui la coppia riesce sì e non a vedersi il fine settimana perché impegnati quasi tutto il giorno in lavori che, il più delle volte, garantiscono solo la sopravvivenza mensile, una società come questa come può poi “imporre” una famiglia “bloccata”, come può imporre “vincoli”, quando non garantisce le possibilità più elementari affinché questi “vincoli” possano essere vissuti tranquillamente? I divorzi aumentano, aumentano anche gli aborti. Ma è ovvio tutto questo, solo gli ipocriti possono far finta di non capire. Tutto questo non aumenta per capriccio, ma per necessità. I giovani non ce la fanno, non possono farcela, sia economicamente sia socialmente, a vivere questo tipo di vita senza garanzie. Frenetica, convulsa, disorganizzata, precaria. Ecco che ritorna questa parola. Questa è la nostra società. Una società che con cinica libertà tratta noi giovani come pedine per poi imporci una non libertà. Per avere alcuni diritti che consentono di vivere meglio il rapporto di coppia ci si deve per forza sposare. Ma perché? Perché non li possiamo avere tutti? Chi si vuole sposare si sposi, chi sente il matrimonio come un sacramento si sposi in chiesa, chi non crede e vuole sposarsi lo faccia in comune, ma chi vuole “solo” stare, vivere, con la persona che ama perché non può godere di normali diritti civili come gli altri? Perché imporre la cultura dell’imposizione per avere qualcosa? Basta con questo modo di fare, che poi è lo stesso che sottomette noi giovani alle non regole nel mondo del lavoro, ci si impone qualcosa (ci impongono di rinunciare ai nostri diritti di lavoratori) per darci quel che in ogni società civile dovrebbe essere un diritto: il lavoro. Per favore, allora, cresciamo, lasciamoci definitivamente alle spalle questi inutili retaggi medievali, abbandoniamo i pregiudizi e proviamo a costruire una società più giusta, che rispetti tutti, maggioranza e minoranza, facciamolo, e facciamolo non come un diritto, ma come un dovere.

martedì 22 maggio 2007

Cambiai il mio nome in CODA DI LUPO























Eccoci qui, ancora qui a far finta di niente, come se tutto questo parlare non fosse servito a niente.

"...non perderti per niente al mondo lo spettacolo d'arte varia di uno innamorato di te"...Paolo Conte...io credo invece e a conferma di questo che si debba andare sempre "in direzione ostinata e contraria", specie in amore, specie quando ci si lascia alle spalle una storia difficile.
Ma ci son troppi "ma" per non lascirsi andare, per non vivere la vita secondo istinto, senza eccedere, senza esibizionismi inutili e dannosi, ma non perdendo occasioni uniche, non vuttando via i propri anni, le proprie uniche possibilità.
Pensare da persona libera e non come chi è condizionato da se stesso e dalla società che gli sta intorno è molto difficile, lo so, ma è uno sforzo che val la pensa di affrontare.

Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani ...
...e quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in "Coda di lupo"
cambiai il mio pony con un cavallo muto

e al loro dio perdente non credere mai...

...e a un dio fatti il culo non credere mai.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria

e a un dio senza fiato non credere mai.