sabato 7 luglio 2007
Una creuza de ma...una delle tante
L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l'àse gh'é restou Diu
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria
E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l'ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun
E a 'ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae 'nt'u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä
venerdì 6 luglio 2007
I sogni, la rabbia, la voglia di avere rabbia
Sono più di cinque mesi che scrivo per questa rubrica. Sono stati cinque mesi di parole, di dubbi, di domande che ho rivolto principalmente a me stesso e poi voi, a chi ha avuto la pazienza e la gentilezza di leggermi. Sono cinque mesi che ogni volta che inizio a scrivere un articolo penso sempre alla stessa cosa: chissà come sarà il lettore di questa settimana? Sorriderà o ghignerà di fronte alle mie parole? Qualunque sia la risposta credo che pensare ad un articolo sia comunque più complicato che scriverlo. La cosa più difficile, infatti, è staccarsi dalla realtà, altrimenti si scriverebbe sempre di problemi personali o sociali, di disoccupazione, di politica, di economia, o almeno, io scriverei quasi sempre di questo, di tutti quegli argomenti “un po’ pericolosi”, quando lo si fa dalle pagine di un quotidiano, argomenti che forse annoiano, che sicuramente spaventano e di cui, delle volte, alcuni vogliono fare a meno.
“Non e' tempo per noi e forse non lo sara' mai” diceva Ligabue, dove il “per noi” racchiude un insieme di significati, di illusioni, di convinzioni. Non è tempo per chi vuole fare di testa sua, non è tempo per chi non ha voglia di adeguarsi, per chi sogna ancora per vivere e vive per sognare. Non è tempo per noi allora diventa un grido di battaglia. L’idea di sentirsi comunque diversi, diversi senza “se” e senza “ma”, portatori di idee altre, di voglie, di speranze, persino di certezze, anche quelle negative, perché delle volte è dalla presa di coscienza di un momento brutto che si trova la voglia di ricominciare. Mi han detto che ogni tanto fare panchina serve…facciamo finta di crederci e sorridendo vediamo come finisce. Comunque non so se vi è mai capitato di sentivi diversi, specie sul lavoro, di fare delle cose con passione e voglia e vedere poi i vostri sforzi non considerati o addirittura non apprezzati o travisati. “Ci han concesso solo una vita. Soddisfatti o no qua non rimborsano
L’avete capito, no? E’ dei giovani che voglio parlare oggi, non solo dei giovani all’anagrafe, ma di tutti quelli che di giovane hanno i sogni, la rabbia, la voglia di non dover sempre dire sì. Non mi piace quando si vuol fare apparire gli adolescentidi oggi come cattivi, come semplici bulletti. I giornali sono pieni di storie di violenza a scuola, di branchi di ragazzi che spaventano le città. Di sicuro qualcosa di vero c’è, sarebbe stupido da parte mia negarlo. Ma è una fotografia sfuocata quella che si vuole dare, si vuol sbattere il mostro in prima pagina, senza capire cosa vuol dire essere giovani oggi come ieri. La gioventù è una razza indomita, che si muove in fretta, che non si può censurare, i giovani son quel tipo di persone che si lasciano dietro una scia d’ansia. Non si è giovani se non si è scontanti, non si è giovani se non si è rivoluzionari, contestatori, se non si parla di ideali, di futuro migliore. Un grande poeta del secolo scorso rimpoverava ai giovani italiani di non essere mai riusciti ad allontanarsi dalla casa dei genitori. Di aver detto troppi sì. “I giovani han smesso di essere felici perché hanno perso l’immaginazione, ma non c’è nulla di affidabile nella felicità”, questo invece lo diceva Ibsen, il grande drammaturgo scandinavo. E Ligabue? “Non e' tempo per noi che non ci adeguiamo mai. Fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori dai
Abbiam donne pazienti rassegnate ai nostri guai. Non e' tempo per noi e forse non lo sara'
Non
martedì 3 luglio 2007
Haiku
L'ossessione di sentirsi primi
Certe persone hanno bisogno di essere i primi, primi nel lavoro, nella scuola, altri sognano di essere i primi ed unici amanti della persona che amano. Una poetessa rinascimentale diceva che solo gli ultimi cantano vittoria in amore. Una volta invece ho letto in un libro che nessuno può essere certo di essere il primo e questo vale anche per l'ultimo.
Amo la mattina appena sveglio accendere la radio, questo mitiga la mia malinconia. Quando ti sogno lo so, lo so anche se non me lo ricordo. Me lo dice la sensazione di vuoto che ho dentro per tutta la giornata. La musica aiuta, per questo i maggiori ascolti per le radio sono di mattina.