mercoledì 13 giugno 2007

ma perchè non mi emoziono di fronte a certe cose?



















Cinquanta o forse sessanta anni fa, per un uomo i vent’anni erano gli anni del primo figlio, ora le cose sono leggermente cambiate. Ci si sposa più tardi, prima ci si deve “sistemare” e così il periodo del primo figlio diventa il decennio che va dai trenta ai quaranta. Cambiamento non da poco quello che ha investito noi padri o padri futuri, trasformazione che finisce per incidere nel modo in cui un non padre, un non padre come posso essere io, trentaduenne scapolo, finisce per vedere la nascita del figlio di un amico: come una non cosa, perché troppo impegnato a convivere con il proprio particolare, già “il mio” vivere è poco figuriamoci se posso dividermi con quello degli altri, non si ha più l’età per farlo, per perdere tempo con quel che non ci sta riguardando da vicinissimo e non si è ancora arrivati, invece, a vivere l’età in cui si sente il desiderio di rinascere attraverso la nascita di un altro. So che è un pensiero socialmente scorretto il mio, e anche per quel che concerne il sentimento di amicizia ammetto che in questo caso pecco molto di menefreghismo, ma ogni volta che mi annunciano la nascita di qualche figlio io rimango senza reazione, al massimo posso lasciarmi inconsapevolmente andare ad un sorriso da passaporto, ma non mi emoziono. Capisco che è un segno di difficoltà e freddezza, ma qualcuno dovrebbe spiegarmi perché dovrei essere contento. Per la nascita di un esserino indifeso, per la gioia di un mio caro amico, mi si potrebbe facilmente rispondere, perché la felicità dovrebbe nascermi spontanea. Dovrebbe nascermi. E invece purtroppo non mi viene mai. Nell’ultima settimana 3 amici hanno annunciato di essere in attesa del primo figlio ed io per vincere questo mio stato di torpore emozionale è da una settimana che ascolto almeno 2 volte al giorno Bambino io, bambino tu di Zucchero. Un ninna nanna fiabesca, una storia onirica che accomuna padre e figlio in un gioco linguistico-musicale fatto di sguardi, di silenzi, di ricordi, di voglie, di quell’occhio nero e quell’occhio blu che fanno del bambino un dolce prodotto del sogno del padre, una speranza futura, la voglia di perdersi in quel bimbo che molto probabilmente non c’è se non nel sogno, la speranza di addormentarsi e di svegliarsi bambini, magari con un occhio nero e uno blu.

Sono consapevole che il mio è un bieco atteggiamento egoistico, il modo di fare di un uomo impegnato nel lavoro, che forse predica bene e razzola male, l’atteggiamento di chi ancora crede che così come i dolori degli altri sono dolori a metà, anche le gioie degli altri sono al massimo un venticello estivo, magari refrigerante, ma mai troppo intenso da far passare la calura ferragostana che ci toglie il respiro. Perché è così che ci si sente, quando si è, come me, ingolfati dai vizi sociali della nostra epoca: egoismo, narcisismo, egocentrismo, tutti “ismi” prodotti dalla nostra familiarità con il sociale, con la società che ci ha plasmati in questo modo. Ma scusate se la società mi vuole, mi ha creato a sua immagine e somiglianza, perché la società, qualunque società, tende sempre a voler appiattire ogni individualità, ogni schiocco di originalità, per paura, per invidia, per sicurezza, se la società mi vuole figlio del mio tempo e se questo tempo è il tempo dell’individualismo sfrenato, del “prima penso a me e poi agli altri”, perché dovrei comportarmi in maniera diversa di fronte ad una nascita che non mi tange direttamente? Come ormai avrete capito da molto tempo, io faccio risalire tutto a problemi di ordine materialistico, e non so se poi questo atteggiamento critico paga ancora in termini di concretezza e realismo. Un pragmatismo storico che mi viene dai miei studi, dal mio continuo confrontarmi con la storia e con i prodotti che i cambiamenti di questa hanno significato per lo svolgersi degli eventi, dei comportamenti, del modo di vivere e pensare della gente, qualunque essa sia, dai poeti, ai contadini, ai cantanti. Tutto dipende dalla società, da come questa si impone nel nostro modo di vivere, nelle nostre abitudini, persino nel nostro modo di vedere e sentire certe cose, anche la nascita di un bambino, del bimbo di un altro. Se non mi riguarda è qualcosa che comunque presto mi passerà di mente, non andrà più di tanto a modificare la mia vita, quindi, perché agitarmi, perché? Mamma mia, che brutto che sono diventato! Dov’è finito il figlio che giocava a pallone con il padre, il nipote che si addormentava con le storie che gli raccontavano la sera? Un mostro ad immagine e somiglianza della società, il prodotto del consumismo degli affetti e dei sentimenti, ecco quel che sono diventato! Non riesco ad emozionarmi per quel che non mi riguarda o per quel che un tempo magari mi ha anche interessato, ma ormai è passato e quindi non mi riguarda più. Sono chiuso nel mio guscio, impaurito da tutto quello che non conosco, da quello che non riesco a controllare e anche le emozioni e i sentimenti appaiono come intorpiditi. Philip Roth, uno dei più grandi scrittori americani contemporanei, diceva che non si può rifare la realtà, non si può cambiare il corso degli eventi, ma si può cercare di cambiare la società e di conseguenza i suoi meccanismi, quello che regola il vivere di tutti noi. Non sempre gli scrittori, i poeti, hanno ragione e spesso danno risposte sibilline ai nostri quesiti, ma oltre alle parole di Roth che mi sembrano molto pertinenti al discorso fin qui affrontato e su come sia difficile per uno come me comportarsi in maniera differente, un verso in questi giorni mi torna spesso in mente: “Non sempre la verità della vita dà soddisfazione e, al tirar delle somme, verità e menzogna finiscono per rivelarsi la stessa cosa.” Che solitudine, che malinconia, chiudo tutto allora, ripongo carta e penna e vado a riascoltare Zucchero e la sua ninna nanna, tanto ora sì che ho veramente un occhio nero e un occhio blu.

domenica 10 giugno 2007

Adesso
























Adesso avrei voglia di non aver troppo sonno
vorrei uscire e non sentire l'umido della notte barese
vorrei mangiare l'anguria e qualche fiorone
vorrei non aver problemi di benzina
vorrei poter girare ocn la macchina e andare dove mi va
vorrei trovare una radio con buona musica
vorrei avere con me persone che mi diano chiacchiera
vorrei non dover lavorare domani
vorrei partire e mandare a cagare tante di quelle persone

I vecchi amanti

















Certo ci fu qualche tempesta
anni d'amore alla follia.
Mille volte tu dicesti basta
mille volte io me ne andai via.
Ed ogni mobile ricorda
in questa stanza senza culla
i lampi dei vecchi contrasti
non c'era più una cosa giusta
avevi perso il tuo calore
ed io la febbre di conquista.
Mio amore mio dolce meraviglioso amore
dall'alba chiara finché il giorno muore
ti amo ancora sai ti amo.
So tutto delle tue magie
e tu della mia intimità
sapevo delle tue bugie
tu delle mie tristi viltà.
So che hai avuto degli amanti
bisogna pur passare il tempo
bisogna pur che il corpo esulti
ma c'é voluto del talento
per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.
Mio amore mio dolce mio meraviglioso amore
dall'alba chiara finché il giorno muore
ti amo ancora sai ti amo.
Il tempo passa e ci scoraggia
tormenti sulla nostra via
ma dimmi c'é peggior insidia
che amarsi con monotonia.
Adesso piangi molto dopo
io mi dispero con ritardo
non abbiamo più misteri
si lascia meno fare al caso
scendiamo a patti con la terra
però é la stessa dolce guerra.
Mon amour
mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
de l'aube claire jusqu'à la fin du jour
je t'aime encore, tu sais, je t'ame.