venerdì 13 aprile 2007

Mi sento...















Mi sento come Don Chisciotte che sogna di essere Cirano che crede di essere Amleto quando aspetta Godot pur sapendo che al massimo potrà essere Buffalo Bill anche se poi gli altri gli faranno credere di essere Odisseo...mi sento come quando mi sentivo bene

giovedì 12 aprile 2007










Perdonami perchè
ho l'inquieta aria amata
di chi sogna sapendo di esser addormentato.

Perdono... si quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa... regalami un sorriso io ti porgo una rosa... su questa amicizia nuova pace si posa... perché so come sono infatti chiedo... perdono... si quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa... regalami un sorriso io ti porgo una rosa... su questa amicizia nuova pace si posa... PERDONO.
E se questa di Tiziano Ferro non fosse una canzone d’amore? Se fosse altro? Cosa sarebbe?

Lo so, ormai mi avete capito: io ho pratica dell'invisibile, io sto lì che guardo attento senza farmi guardare. Semplicemente questa sera io mi guardo intorno e mi chiedo se sia più facile ammettere i propri errori o perdonare qualcuno che ci ha fatto del male?

- Scusa, ho sbagliato - è un'espressione bellissima, una frase semplice, ma di una ricchezza di significati disarmante, un'espressione che non rende più debole chi la dice, ma più "uomo", più essere umano e quindi una persona da ammirare.

Che cosa c'è di più bello, per esempio, che sentire una madre rivolgersi al proprio figlio e dirgli - scusa, ho sbagliato - senza che questo comprometta il proprio ruolo di educatrice, senza che questo vada ad inficiare il rispetto che un figlio ha o dovrebbe, o ancora meglio potrebbe avere nei confronti del proprio genitore? Il rispetto non viene per grazia divina, ma bisogna guadagnarselo, ebbene che tutti lo sappiano e se ne facciamo una ragione. Tutti pronti a dire che i nostri giovani non hanno più valori, che la famiglia va protetta per difendere così la nostra società, tutti pronti ad incensare e condannare, tutti dimentichi, però, del fatto che le cronache degli ultimi anni sono piene di quel "parentismo-serpentismo" che da Cogne, passa per Gravina di Puglia, evidenziando come non è solo nella famiglia che si può trovare un nido amoroso, e i Dico non c'entrano niente, come non sempre le colpe di tutto ciò devono ricadere sui figli. La crisi di valori c'è, è vero, nessuno vuole negarla, ma è la crisi della nostra cultura ormai incapace di reggere il ritmo della società che ci ha partorito, è la crisi di un uomo incapace di guardarsi allo specchio, di non vedersi più super-uomo. E non è certo difendendo il dogmatismo dei doveri, non è arroccandoci dietro le false risposte del diritto naturale che si possono trovare i perchè che tutti noi cerchiamo. Io credo, invece, che sia un problema di dignità, un problema di conoscenza reciproca, di rispetto. Non credo alle regole, credo che una società più giusta di questa possa addirittura farne a meno, credo invece nel rispetto, la più bella lezione che un genitore, un insegnante, una religione dovrebbe darci. Da piccolo mi hanno insegnato i dieci comandamenti, ammetto di non averli seguiti mai con vera abnegazione, li ho sempre trovati incompleti, incapaci di indirizzare la vita non solo del credente, ma di ogni persona, confesso però di non aver capito che a tutti questi ne mancava uno, il più importante: il perdono.

Non so se questo sfogo debba essere preso sul serio, ormai avete imparato a leggermi.

Son dell'avviso, però, che queste parole debbano essere viste come un’apertura, come un pensiero non certo venuto a caso, ma come un dovere verso me stesso, come una cosa che non dimostra niente, ma che andava fatta.

Nella mia vita ho sbagliato, ho sbagliato tanto, infatti, ho perso tante occasioni, ho sbagliato a credere nelle persone sbagliate, ho fatto piangere persone che non lo meritavano. E questo credo che ognuno di noi, in qualche modo, possa e debba dirlo. Ammetto tutte le mie colpe, allora, anche se avrei dovuto ammetterle prima.

Ritengo che si stia vivendo la fase più conformista della nostra storia e non c'entra niente questa volta la globalizzazione o il consumismo più sfrenato, non c'entrano i Dico o la Cei. Non sempre siamo disposti ad ammettere i nostri errori, non sempre siamo disposti a perdonare, delle volte troviamo difficile persino perdonare noi stessi.

Ogni volta, allora, fingo di aver capito, ma, tornato a casa, le idee confondono questo pensiero e sbaglio di nuovo, io come gli altri.

Tutto mi stupisce, persino le scelte che ancora non ho fatto, quel “non si sa mai” di sorrisi spenti, quella mia poca voglia di ricominciare. Cos'è? E' l'effetto dei miei errori nella mia vita, la consapevolezza di aver sbagliato, la paura di aver perso qualcosa di importante. Perdono!

Ho tentato quello che ho potuto, fino a che ho potuto, fino a non poterci niente...questo sembra il ritornello della mia vita, della mia come di quella di tanti altri come me, forse.

Nuovo, vecchio, sempre lo stesso, insomma mi è buffo pensare a quei giorni lasciati, a quegli errori di pensiero che ormai mi guardo da dietro, alle mattine perse sui libri ad inseguire un qualcosa che poi non c'è, alle bugie dette, alle vigliaccate fatte a chi mi amava.

Scienza pura la mia, proprio come l'odio e l'amore, come l'idea di perdono, come ammettere di aver sbagliato e non poterci fare più niente, come saper sorridere e dire..."Perdono... si quel che è fatto è fatto io però chiedo . Scusa... regalami un sorriso io ti porgo una rosa... su questa amicizia nuova pace si posa... perché so come sono infatti chiedo... perdono... si quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa... PERDONO. "

A questo punto non so se sia più difficile perdonare o chiedere scusa, questo se non l’avete ancora capito era il tema della chiacchierata di oggi. Penso però che siano tutti e due un dovere, non un precetto religioso, ma un dovere di dignità umana, un gesto, una necessità.

Io so che tu mi perdonerai.
Come?
Lo sai.
No.
Ma lo fai.
Come?
In ciò che fai e non sai ciò che fai.

Vi saluto, allora, con questo giochino di parole, filosofia da bar che però mi fa sorridere, mi fa sperare.

Dedicato a tutti quelli a cui non ho ancora chiesto perdono.

mercoledì 11 aprile 2007

...l'ultima volta
















...adesso sentiva solo il cuore di lui.
Non più solo il suo.
Tamburellava più di prima...
...lui la guardò negli occhi e le sorrise. Lei lo accarezzò sul viso. Il petto di
lui aderì al suo e ancora più distintamente riconobbe che aveva paura.

Con il gesto più naturale del mondo le fu dentro, per un attimo lei sgranò
gli occhi, premette le unghie nella sua schiena.
(Non farmi male)
Si ricoprirono il volto di baci. Tanti, non seppe contarli. Divennero
il modo che aveva lei per non pensare
Il letto era piccolo, troppo.
Si coprirono il volto di baci.
Ancora.
Lei gli premette il viso nel solco del collo. Lui non la scostò.
Continuò a dondolarsi, come se quel movimento fosse infinito, come se
dovessero restare legati.
Poi lui sussultò, sospirò.
Lei gli si aggrappò al petto.
Sussultarono insieme per un breve istante.
E quando il dondolio dei loro corpi cessò stettero muti.

Lei giaceva immobile tra le lenzuola
Sembrava essere tornata la ragazzina di qualche anno prima. Aveva le guance rosse, gli
occhi vivi e luminosi.
Lui le teneva la mano, giaceva immobile su un fianco.
Sembrava stanco.
"...la prima volta..."- disse lei con voce roca.
"...la nostra ultima volta." - disse lui aprendo gli occhi.
E stettero in mezzo alle lenzuola di lino a contemplarsi,per un tempo
indeterminabile.

Mani rugose in mani rugose.

martedì 10 aprile 2007

Delusione




















Quando sogno posso avere la sensazione di averlo già fatto quel sogno, di averlo fatto spesso e so che in realtà non si tratta di sogno, ma è una cosa che ho vissuto veramente. Lo chiamo sogno non sapendo come altro chiamarlo. E' qualcosa che sento su di me, una sensazione fisica, una sensazione che mi riporta sempre nello stesso punto, dove sono sempre stato. Non è tanto una via, ma qualcosa di vivo e corporeo. La delusione.
Se la incontrassi ora la vedrei per quella che è...

...provo vergogna per quel che provo in questo momento.

Azzurro





Siamo i guardiani del faro che aspettano qualcosa per farsi compagnia, sono l'uomo che si occupa delle foglie, il cieco che finalmente saprebbe come guardarsi allo specchio.
Aprirsi, confrontarsi con chiunque, ma non con chi sai poter essere come te, diceva il poeta che aveva paura della solitudine, forse sorridendo, forse con la speranza di essere smentito dai fatti.
Bari è sola questa notte e per noi, solo per noi, avrà il suo tetto apribile, ci farà vedere le stelle, l'azzurro del suo cielo, almeno spero.
Chi non si è mai domandato come sarebbe potuta essere la propria vita se alcune circostanze fossero state diverse?
...e se avessi scelto quell'altra facoltà...e se avessi sposato quell'uomo...oppure se nella mia vita avessi detto più "sì"?
Un enorme sliding doors a cui tutti, nessuno escluso, siamo costretti sin dalla giovinezza a sottostare, un percorso a bivi, come quelle vecchie storie di topolino, nato dalla nostra fantasia, dalla nostra smania di abbondanza, di non accontentarci mai, o forse solo dalla speranza di essere felici, o quantomeno di provare ad esserlo.
Come i personaggi dei romanzi di fantascienza che vivono storie parallele anche noi viviamo solo un'esigua porzione delle vite che avremmo potuto vivere.
Non è più il caso, allora, di domandarci com'è l'uomo che vive senza "se" e senza "ma", l'uomo che vive senza rimpianti e senza rimorsi, ma chiederci se esiste un uomo così, l'uomo che non ha mai preso "il treno dei desideri, quello che all'incontrario va."
Brindo, allora, alla salute degli indecisi, dei malinconici, dei sognatori silenziosi, di "chi sente fischiare sopra i tetti un aeroplano che se ne va"!
Azzurro è il cielo dell'estate, il cielo senza nuvole, senza movimento, senza dubbi, il cielo "troppo azzurro e lungo" per essere vissuto da soli.
Eccolo, allora, il momento che stavamo aspettando!
"Io quasi quasi prendo il treno e vengo da te", dice Paolo Conte, perchè la canzone non è di Celentano come alcuni potrebbero credere, ma di Conte, dell'avvocato piemontese amante del jazz.
In ogni caso è quello che ognuno di noi dovrebbe fare: "accorgersi in tempo di non aver più risorse senza di te", è cercare il bello sempre e ovunque, l'inizio in ogni fine, l'alba nell'imbrunire.
Ma poi quante volte ci siam sentiti dire che non è proprio il caso di prendersela tanto se sappiamo in anticipo come andrà a finire.
Eppure ogni persona dubbiosa è così, ogni uomo in qualche modo scontento se la prende, ogni sognatore pensa e parla come stiamo facendo noi: voglio tutto, prima che se lo prenda qualcun altro!
Ecco, allora, che ci viene la voglia di prendere queste benedetto treno e correre da lei, dalla felicità. Perchè non cercare l'azzurro in una sera come questa sarebbe stato mortificare la stessa voglia di un "treno di desideri" che sentiamo dentro di noi, perchè la memoria, la voglia di aspettare qualcosa in più, sono da sempre i più accesi rivali dell'uomo, e questo ognuno di noi lo capisce vivendo, scontrandosi ogni giorno con quel che si sarebbe voluto e poi, forse, non è stato.
Sono immagini che mano nella mano vanno a perdersi nella vita, sono piccoli equivoci quotidiani, come "l'Africa cercata nel giardino, tra l'oleandro ed il baobab".
E allora lasciatemi dire che"mi accorgo di non avere più risorse senza di te". Perchè per fortuna, delle volte si perde contatto con quel che si scrive e si capisce finalmente la direzione di quel "treno dei desideri che all'incontrario va": la felicità!
Dove si va per la prima volta è l'istinto della discrezione a guidare, a rendere tutto più facile, teniamolo presente quando ci sentiremo di nuovo tristi e soli con i nostri dubbi, con i nostri sogni più scaltri.
Perchè so benissimo che oggi una nuovo sogno di felicità improvvisa prenderebbe il posto che per altri è del primo amore.
E allora lasciamoci portare dal treno dei desideri, dai sogni nati all'incontrario, ogni uomo è così, ogni uomo si sente solo sapendo di non esserlo.

domenica 8 aprile 2007

La prima volta...
















Nel ritrovarsi fra ansia e odore, nei continui respiri di lui, quello che sentiva era il suo cuore.
Tamburellava…tum tum tum…
C’erano tante ombre che si intrecciavano sulla parete, non sembravano loro. La luce delle candele alla vaniglia, la musica nello stereo…l'unica cosa, nitida, che riusciva a
visualizzare nella sua mente era quel manuale di ginecologia che giaceva da tempo
immemorabile nella sua libreria.
Le ventitre posizioni raffigurate le vedeva tutte quante. Con chiarezza.
Uomo sopra-donna sotto, donna sopra-uomo sotto, uomo sulla sedia-donna
sopra, donna girata.
Basta! Basta, basta, basta, non ne posso più!
Le aveva contate tutte quante credendo che fossero le uniche varianti. Aveva
guardato per bene e con vivo interesse la figura 1 dell'introduzione del
pene nel preservativo e aveva imparato a localizzare il prepuzio ed il
glande.
Tutto era pronto.
Ma, nonostante tutto, l'unica cosa che riusciva a visualizzare
era quell'assurdo monito che aveva letto sul manuale: "nell'inserire il pene
in vagina, stare attenti a che…” temeva di poter restare in cinta

Quella meccanica perfetta, quell'antico rituale d'amore, l'allineamento dei
corpi, la fusione, venivano stravolti dall'"estrarre in tempo il pene",
"guaina in lattice", "6 euro per 5 pezzi", "profilattico",
"lubrificazione", "tube di Falloppio".
Era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. E se il profilattico si rompe? E se poi c’è una perdita? E se poi alla fine del mese non mi vengono?
E a nulla serviva la lingua di lui che, morbida, si insinuava dentro la sua
carne. A nulla servivano le mani di lui sui suoi capezzoli, a nulla i suoi
baci.
Lei ricambiava ma la meccanica dei corpi, l'allineamento, quella sintonia
perfetta che aveva visto tante volte nei film non c’era.
"Aspetta.Forse non è il caso"- disse lei grottesca.
"Ma come? Perché?"-disse lui amareggiato.
"Ho paura scusami, ho paura che mi faccia male, non lo so…scusami. Ti prego. Capiscimi."- e lei cominciò a piangere.
Nei manuali questo non era contemplato. La disarmante amarezza di lui, le
lacrime calde e vergognose di lei, il non riuscire ad abbandonarsi
completamente, il non riuscire a trovare la giusta sinergia.
Lui ci riprovò. Le sue labbra morbide sulla pancia, la sua lingua calda
nell'ombelico, fino a scendere sempre più giù. Un perverso meccanismo cui lei doveva abbandonarsi.
Stesa, tra le lenzuola di lino bordeaux, lei guardava immobile il soffitto,
stringendo gli occhi quando il piacere sembrava più forte di lei, quando
perdeva il controllo di sé.
"Stupida, sembri una bambina"-pensò mentre stringeva tra i pugni brandelli
di lenzuolo umido.
"Stupida, non sei più una bambina"- pensò mentre inarcava la schiena.
Guardò per un ultimo istante le ombre attorcigliate sulla parete, per un
ultimo istante inalò gli odori della stanza, per un breve attimo rivide la
figura a pagina 3 del "cunnilingus": "perversa tecnica orale da evitare".
Poi tutto scomparve. Niente più fu perverso. Niente più ombre, niente più
luci, niente più manuali...

Le vite degli altri








Le vite degli altri è uscito in Germania nel marzo del 2006, ricevendo numerosi premi. Regia e sceneggiatura sono di Florian Henckel von Donnersmarck. I protagonisti sono Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Martina Gedeck, Ulrich Tukur.

La vita degli altri è una dimensione segreta, impenetrabile. La vita degli altri ci è preclusa per definizione. Eppure la vita degli altri, col suo carico di destino che deve rimanerci nascosto, può essere violata, ci si può inserire nelle sue pieghe, afferrandone gli aspetti più segreti. La vita degli altri, infine, è un film che parla della stasi, la Staatssicherheit della Repubblica democratica tedesca. E che tenta di confrontarsi col tema del controllo dello stato sulla vita dei cittadini, e finisce per essere solo dimostrazione della sua arbitrarietà. È, questo, un tema complesso, che corre come un filo rosso attraverso sistemi politici molto differenti tra loro. Come viene esercitato il controllo, e sino a che punto esso è lecito? Quali sono i meccanismi che lo permettono? Quali sono le forme che assume? È un controllo esercitato in maniera brutale ed esplicita - affinché di quella brutalità sia resa testimonianza e nessuno osi opporvisi - o si tratta invece di una forma di controllo più sotterranea, ma non per questo meno paurosa?
Montesquieu comprese che la caratteristica dominante della tirannia era il suo isolamento - l’isolamento del tiranno dai suoi sudditi, e quello dei sudditi tra di loro per effetto del reciproco timore e del sospetto - e quindi che la tirannia non era una forma di governo fra le altre, ma contraddiceva la condizione umana essenziale della pluralità, dell’agire e parlare insieme, che è la condizione di tutte le forme di organizzazione politica. [...] Essa sviluppa i germi della propria distruzione dal momento in cui comincia a esistere
Ora, quello che a me pare importante è l’elemento del “reciproco timore e del sospetto”, dell’“isolamento”, che però nel film viene fuori in misura piuttosto limitata. La vita degli altri mi pare essere, infatti, solo un tassello che va ad assommarsi al quadro delle testimonianze, ma di fatto poco aggiunge alla comprensione d’insieme del fenomeno. Tuttavia, se da un lato lascia perplessi per il suo modo di affrontare la storia - perché forse è proprio questo l’interrogativo generale che nasce dal film ed è lasciato senza risposta: come si fa ad affrontare la storia in un film di finzione? - d’altro canto riesce ad avvincere lo spettatore nonostante i suoi 137 minuti, per la struttura narrativa coerente, per il suo essere una storia - stavolta intendendo il termine nell’altro senso - che funziona.