
...e al fin giungemmo...
Sono diventato professore abilitato col massimo dei voti ed entro in prima fascia!
...mille parole di chiassosa bellezza...un gioco, una provocazione, una sfida, una comunicazione sì ellittica, ma più veloce e sempre in movimento. Laurea,Dottorato di ricerca, specializzazione e poi? E poi siamo pronti per giocare, per scriverci addosso, per non prenderci mai sul serio. Si parva licet!
In questo momento il problema dei salari, della sicurezza, non tanto fisica che è una conseguenza, quanto economica, la vera priorità, diventa l’aspetto più rilevante dell’agenda politica. Ho scritto diventa, ma invece avrei dovuto dire dovrebbe diventare perché invece in questi giorni si sente parlare di intercettazioni, di trattati europei, di goal da annullare per fuorigioco.
Ci dicono che entro l’anno la benzina raddoppierà e con essa tutto, dal pane al gas, ai biglietti dell’autobus. Non è catastrofismo se anche il mago del miracolo italiano, l’uomo del milione di posti di lavoro ha parlato di rimboccarci le maniche, di inizio di recessione allora vuol dire che siamo messi molto male. Ora il problema non è neanche vedere perché siamo finiti così, il problema che tutti gli italiani sentono o dovrebbero iniziare a sentire/capire è piuttosto come uscire da questa che non può che chiamarsi crisi. In Italia il 14% della popolazione è considerata povera, ma la percentuale aumenta se si guarda al sud. Bisogna rassegnarsi alla nuova povertà? E perché nuova? Nuova perché il povero del 2008 è totalmente diverso da quello degli anni 60 ad esempio. E’ istruito, spesso è laureato, ha già avuto esperienze lavorative e non ha grandi aspettative e in più è abituato in un certo modo al benessere, cosa che non accadeva per i nati alla fine della seconda guerra mondiale.
De Andrè in una canzone di metà anni settanta, Via della povertà, descrive perfettamente uno scenario sociale allucinato, pieno di eccessi, di egoismi, di frustrazioni. De Andrè in un testo grottesco per certi aspetti anticipa di quasi trentenni quello che sta accadendo ora. La società come una lunga strada, via della povertà appunto, dove la povertà morale si sovrappone e si intreccia a quella economica.
I personaggi della canzone sono maschere, sono commedianti, sono personaggi di una commedia umana che altro non è che la vita di tutti i giorni. Noi Italiani c’eravamo quasi dimenticati della povertà e invece l’abbiamo ritrovata sotto casa, prima negli alloggi degli immigrati, poi nei licenziamenti dei quarantenni e ancora nelle nuove emigrazioni, fenomeno che si era fortemente attenuato negli anni ottanta.
Il fatto è che la questione povertà, in Italia, viene percepita e affrontata in modo sussultorio, seguendo un’agenda imposta dalle presunte emergenze politiche ed elettorali. Così i poveri compaiono e scompaiono, a seconda delle emozioni dell’opinione pubblica. Ma, soprattutto, sulla spinta della contingenza politica. Vengono agitati, i poveri, come una bandiera, quando la campagna elettorale è alle porte, oppure quando le tensioni fra le coalizioni e dentro alle coalizioni sono particolarmente acute. Ne ha fatto un marchio distintivo la chiesa cattolica. I poveri, in ottica solidaristica, accendono addirittura il dibattito sulla libertà religiosa e sulla laicità dello Stato. La povertà è usata come meccanismo per riscaldare il clima d’opinione, per intercettare consensi, per stringere alleanze, aprire conflitti. Oppure, appunto, dimenticati. Nascosti. Occultati. Secondo le convenienze politiche e le scelte di marketing elettorale. Questo il fenomeno povertà per la politica italiana, questo il modo per non risolverla mai in maniera strutturale. Andremo sempre più verso una società dalle due velocità: quella dei ricchissimi e quella dei poveri. Pochi ricci e moltissimi poveri, proprio come nei paesi sottosviluppati. Sarà la fotografia di un paese grottesco, arido, incattivito, sarà quello che De Andrè ha già scritto trentenni fa? Chissà, chissà se saremo in grado di camminare per questa nuova Via della povertà.