sabato 9 giugno 2007

Per chi ha finito la scuola oggi














Rimorsi e tempo raccontano.
La notte annusa aria migliore,
pian piano chi aspetta fa come lei.
Aperto è il ricordo:
scala la luna
e appendilo alle sue stelle!

giovedì 7 giugno 2007

La rivincita del cuscino













Quando alle 7 e 30 del mattino invece di una musica rilassante la radiosveglia entra nel tuo sonno con la voce sgrammaticata di un Ministro, quando la prima immagine della giornata è la pila di pratiche che devi risolvere per il tuo capo, o forse peggio, quando i clacson della auto ti fanno credere che i mostri cattivi abbiano perso possesso del mondo sotto forma di arroganti semi-uomini, gli automobilisti, in preda alla sindrome da parcheggio, proprio allora è che ci si vorrebbe girare dall’altra parte per rimettersi a dormire, come se tutto quello fosse stato solo un sogno di pessimo gusto, uno scherzo fatto a noi stessi.

Poi però, come sapete, ci si alza lo stesso dal letto, magari per senso del dovere, magari invogliati da una carezza di chi ci sta vicino, oppure solo perché un pensiero dignitoso ci passa per la mente. In ogni caso nel mare di mediocrità che ci sta intorno riusciamo sempre a trovare una piccola boa di salvataggio sulla quale metterci in salvo e cominciare la giornata.

Detto questo e dato per buono, non sono poi così ingrato da pensare che tutto ciò non sia importante per ognuno di noi, credo che si possa, infatti, affermare che è l’ottimismo ad accompagnare ogni nostra azione, specie alle 7 e 30 di una mattina di pioggia novembrina, che ci fa credere che il domani possa essere in qualche modo meglio non solo dell’oggi, ma anche di quello che abbiamo vissuto ieri, detto questo penso, però, che si possano fare alcune piccole considerazioni.

Partiamo dall’ottimismo, dalla speranza, mi chiedo infatti se delle volte, almeno una volta ogni 4 mesi, non sia meglio farci prendere la mano dal pessimismo, tornare ad abbracciare il cuscino, riprendere sonno e rallentare il ritmo della nostra vita.

Sarebbe una forma di rivoluzione non armata, una non violenta forma di protesta che ognuno di noi indice contro se stesso e la società. Ma ve l’immaginate una giornata in cui tutti a sorpresa decidono di non svegliarsi? Sarebbe la dimostrazione che esiste ancora la felicità, quella di sentirsi liberi, senza regole, senza imposizioni, insomma la felicità di sentirsi uomini e non ingranaggi più o meno importanti di una grande macchina che forse non saremo mai in grado di guidare. Utopia? L’utopia del pessimismo felice? Forse, non posso negarlo, ma non credo che ci sia niente di male ad affidarsi ogni tanto ad una vecchia e sana manciata di utopia. Penso che molti di noi ne sentano in qualche modo la mancanza. Sono parecchie settimane che in questa rubrica parlo di felicità, di come ognuno di noi debba credere nel proprio diritto-dovere alla felicità. Se ci pensiamo la felicità, con buona pace di Albano e della sua canzone festivaliera dei primissimi anni 80, è una scoperta abbastanza recente, direi intrinsecamente legata alla scoperta della libertà. La libertà di scegliere il proprio marito o la proprie moglie senza imposizioni familiari, la libertà di votare chi ci pare, la libertà di cambiare religione, professione, persino il sesso senza che nessuno ci dica niente.

La libertà è il libero arbitrio, è pensare di non avere nessuno che ci dice cosa fare. Poiché sono dotato di libero arbitrio diceva Dante, cioè sono capace di scegliere, mi prendo la responsabilità della scelta, e ne rispondo di fronte a chi me ne chiede conto, di fronte alla mia coscienza. Questo dovrebbe essere il credo di un uomo libero, quello che Giorgio Gaber nella canzone La libertà del 1972 diceva con il termine “partecipazione”.

E se la libertà è partecipazione, la felicità è sentirsi liberi, libero come un uomo e vi assicuro che non è cosa facile. Ecco perché è da un po’ che vi parlo di libertà, perché credo che sia giusto mettersi in guardia, dirsi le cose come stanno. Forse è arrivato il tempo di chiudere i libri, di tappare gli occhi ai telefonini e di chiedersi invece come ci va, del perché aspetto che qualcosa mi cambi e della mia voglia di non partecipare alle feste e di non salutare chi non voglio salutare.
Oggi, questa sera, questa è la mia libertà. Mi lascio andare e nella mia riparata poltrona nera osservo il ritmato movimento delle mie gambe portate dall'ansia. Cosa faccia della notte, di questa notte un monumento di pensiero alla libertà non lo so, forse perché stasera non mi sento felice e vorrei che i miei eventuali lettori non si sentissero come me.
Sarà il silenzio o la certezza di non dover incontrare nessuno, ma in queste ore sembra proprio che le parole non costino nulla e che si possa prenderne abbastanza per provare a darsi fiducia.
Come giudico allora la felicità se non come una fata che strega tante magiche speranze?
Eppure...eppure ho voglia di guardarmi indietro e non trovarmi più, ho voglia di tornare ai tempi del liceo, ho voglia di sapere dell'esistenza di Dio, del Dio che si rincorre nelle bugie "dei sempre", del Dio che ama le donne e applaude alla follia, del Dio che si chiama felicità.
E allora ma chi l'ha mai detto che era importante arrivare fin qua? Incappucciati dalla fretta inciampiamo in quel che vorremmo fare e diciamo di non potere, ed ogni giorno ci sembra così, inutile. Ogni giorno è un giorno in meno che avremmo potuto vivere come volevamo veramente.
Ecco perchè libertà è anche guardare il cielo e dire: “fino alla fine volerò!”senza la vergogna di essere presi in giro, è la faccia tosta di Ulisse che riabbracciata la sposa dopo anni di navigazione si prepara ad un nuovo viaggio; è l’orgoglio di Ettore che fa riaprire I battenti di Troia per morire con la spada di Achille. Felicità è cogliere la sfida di Kant quando diceva: “Diventa ciò che sei!”. Pochissimi sanno essere felici e appena di più sono coloro che sanno cosa vuol dire esserlo. Perciò che importa se per un giorno, o magari anche due, la radiosveglia si prende una pausa a favore di quella musica rilassante che allontana il ricordo della cantilena sgrammaticata di un Ministro, il pensiero di una pila di pratiche lasciate in sospeso e persino i suoni scoordinati delle auto? Giriamoci dall’altra parte! Non fosse altro per un abbraccio meritato del cuscino…

lunedì 4 giugno 2007

Aver poca voglia










Cosa rimane dei sogni passati per errore?

Scuse corte ma belle, oppure il tenebrone accecante di una voglia che urla, che urla sempre più forte, che mente e che langue, per non diventare, controvoglia, solo complice di letto e starsene lì nel tirar a far mattina.

la luce è principio di nausea per il giorno dopo, le persiane socchiuse sono i pensieri che scelgono per me, è il ronzìo dell'aria, è la rinuncia verticale a quello che non ho.

Il sogno, tardi, da credersi vero, se non fosse per i colori che non si infiammano, per la voglia che va presto, per la ricerca e la paura.

Eccitati e vergognosi, coinvolti nel tepore impossibile di chi è stanco di giocare, nelle pieghe, confusi, tenuti a luce fioca, tra mani che improvvisano e il falso e il vero, che non posso ancora dire.

E allora confondersi e mischiarsi di baci, di furie e di scatti, di altre parole in altri amori. Voglia di cibo e di saluti caldi d'ansia per non sembrar quel che siamo, di sfolgorìo di fianchi fino a indolorirsi dall'amore.

Qui siamo nella luce cadente che si specchia, che rinuncia al mattino, che rimanda e che elude. Qui, tra mani che s'accucciano sul corpo, che graffiano e indugiano sulla gambe, tra il calore sempre più forte delle bocche, qui a sfogliare segreti abbandonati, fantasie timide ed indiscrete dietro quelle che in giorno dormono presso te.

Cosa rimane allora dei nostri sogni? Rimane la voglia che allude alla voglia, il volto in luce, il silenzio di mani che si sciolgon la chioma, la voglia di ricominciare.

Ma poi lo sappiamo, sappiamo che è tutto un sogno, tempo intrecciato, o un suono che si sente nell'inquieto "vorrei ma non posso".

Eppure ed allora che vengano questi sogni! Che mi si faccia di nuovo amare, perché la nostra adolescenza, il nostro canto, quel che noi chiamiamo amore necessita di sogni, di favole ben raccontate, che solo il nostro rifugio cieco può darci.

E allora lasciati andare, lasciati in quest'ora alla finzione di tutte queste cose, lasciati all'imprevisto eccitante e tremulo di un sogno passionale, di un palpito di vita che si perde e che si fa sognare.