mercoledì 23 maggio 2007

La libertà di scegliersi libero












Ognuno è libero” di pensarla come vuole, ognuno è libero di fare quello che gli va. E’ questo il vero senso della parola libertà. E’ questo il liet motiv della canzone di Luigi Tenco Ognuno è libero. Una canzone vecchiotta per essere sinceceri, ma una canzone che purtroppo i recenti fatti di cronaca politico-sociale ci hanno reso ancora tremendamente attuale.

Fare quello che si vuole senza andare ad intaccare le libertà degli altri. E’ quello che dicevano i filosofi illuministi, è quello che diceva Tenco a metà degli anni ’60, ed è quello che dicono anche le costituzioni degli stati più moderni e liberali (non libertari o liberisti, attenzione, liberali). Questo vuol dire esercitare la propria libertà. Il proprio diritto-dovere ad essere e sentirsi liberi.

Certo, si sa che spesso le parole durano più delle cose che indicano e che ancora più spesso possono avere più di una vita. Sembrano fuori moda, superate, come se indicassero cose o valori ormai acquisiti, e invece, all’improvviso, tornano a riempirsi di luce, a diventare tremendamente attuali.

Sta accadendo questo per la parola libertà, sta succedendo questo a proposito di diritti richiesti da una parte minoritaria della nostra società. E’ successo l’anno scorso quando si parlava di fecondazione eterologa, se ne riparla adesso a proposito dei DICO, se ne è parlato per l’aborto, per il divorzio, se ne sarebbe dovuto parlare per l’autanasia o morte assistita.

Io credo nella libertà, credo nell’intelligenza delle persone, credo che uno stato non debba imporre, ma debba mettere i cittadini, tutti, senza distinzioni di classe e cultura, nelle condizioni ottimali per scegliere. Penso che uno stato moderno, qualunque esso sia, debba garantire uguali possibilità di partenza, solo così si possono evitare odi di classe o di etnia. Solo così si può veramente parlare di qualità della vita. Non dovrebbero esistere cittadini di serie A e cittadini di seconda serie. Ma dovremmo poter almeno pensarci come “tutti uguali”, con le stesse libertà e con gli stessi doveri. Prendiamo l’esempio delle famiglie, così attuale sui media degli ultimi mesi. Io credo nell’amore, nei sentimenti, nella voglia di condividere insieme alla persona che amo dei progetti, dei sogni, delle prospettive di vita comune. Penso che tutto questo sia un po’ il terreno comune di ogni coppia, sia che si parli di gente sposata, sia che si parli di conviventi. Non vedo neanche quale possa essere il “problema”, il punto di separazione per le coppie omosessuali. Io, infatti, sono convinto che stati moderni, che società moderne e liberali dovrebbero garantire uguali condizioni civili a tutti, omosessuale ed eterosessuali. Credo che questo sia il cuore della libertà. Non credo che l’approvazione dei DICO possa andare ad intaccare la libertà di tutti quelli che vogliono sposarsi in chiesa, che vogliono seguire quella che, anche giustamente, per secoli è stata la strada più comune per le coppie che volevano stare insieme. E allora non vedo perché, non la chiesa, “il pensiero ecclesiastico” su queste vicende è un pensiero politico, cieco, infatti, è colui che non vede la chiesa come una forza politica (purtroppo siamo molto lontani dalla parole “conciliaristiche” di Giovanni XXIII sul disimpegno della chiesa in questioni politiche) ed è allora quasi naturale che questa chiesa parli così, ma mi chiedo perchè la gente comune si agiti così tanto contro l’allargamento anche agli “altri” di diritti naturali che loro liberamente hanno deciso di acquisire con il matrimonio, ma che questi “altri” invece vorrebbero riconosciuti “solo” per il fatto che “stanno insieme”. Io non vedo quale sia il problema. La società si evolve, come si evolve il codice civile, non capisco perché oggi, nel 2007, in una realtà come la nostra, non si possa dare a quelli che vogliono essere una famiglia senza sposarsi i diritti di quelli che invece scelgono liberamente di sposarsi. Ognuno è libero di fare quello che vuole, sempre nei limiti, come detto, di non prevaricare la libertà degli altri. Ditemi allora che fastidio do se decido di non sposarmi né religiosamente né civilmente, ma chiedo che mi sia riconosciuto un pari trattamento giuridico se convivo con la mia compagna, se anche io e la mia compagna siamo famiglia?

Noi giovani, l’ho detto più volte in questa rubrica, viviamo, siamo il centro di una società pluralista, almeno a parole, una società che ci ricorda giornalmente la nostra esistenza precaria. Sorrido, perché anche questa parola “precario”, anche questo aggettivo è sempre più tremendamente di moda. Una società che ci offre lavori a termine, che ci porta a vivere in case, o meglio in bilocali precarissimi, fatiscenti, ma costosi, che difficilmente ci permette di andare via dalla famiglia prima dei 28 anni, che ci impone ritmi comunque frenetici, in cui la coppia riesce sì e non a vedersi il fine settimana perché impegnati quasi tutto il giorno in lavori che, il più delle volte, garantiscono solo la sopravvivenza mensile, una società come questa come può poi “imporre” una famiglia “bloccata”, come può imporre “vincoli”, quando non garantisce le possibilità più elementari affinché questi “vincoli” possano essere vissuti tranquillamente? I divorzi aumentano, aumentano anche gli aborti. Ma è ovvio tutto questo, solo gli ipocriti possono far finta di non capire. Tutto questo non aumenta per capriccio, ma per necessità. I giovani non ce la fanno, non possono farcela, sia economicamente sia socialmente, a vivere questo tipo di vita senza garanzie. Frenetica, convulsa, disorganizzata, precaria. Ecco che ritorna questa parola. Questa è la nostra società. Una società che con cinica libertà tratta noi giovani come pedine per poi imporci una non libertà. Per avere alcuni diritti che consentono di vivere meglio il rapporto di coppia ci si deve per forza sposare. Ma perché? Perché non li possiamo avere tutti? Chi si vuole sposare si sposi, chi sente il matrimonio come un sacramento si sposi in chiesa, chi non crede e vuole sposarsi lo faccia in comune, ma chi vuole “solo” stare, vivere, con la persona che ama perché non può godere di normali diritti civili come gli altri? Perché imporre la cultura dell’imposizione per avere qualcosa? Basta con questo modo di fare, che poi è lo stesso che sottomette noi giovani alle non regole nel mondo del lavoro, ci si impone qualcosa (ci impongono di rinunciare ai nostri diritti di lavoratori) per darci quel che in ogni società civile dovrebbe essere un diritto: il lavoro. Per favore, allora, cresciamo, lasciamoci definitivamente alle spalle questi inutili retaggi medievali, abbandoniamo i pregiudizi e proviamo a costruire una società più giusta, che rispetti tutti, maggioranza e minoranza, facciamolo, e facciamolo non come un diritto, ma come un dovere.

Nessun commento: