giovedì 29 novembre 2007

Non so che fare oggi pomeriggio e allora scrivo...
































Ritrovarsi soli è un attimo. Basta un’occhiata sbagliata, una frase, un gesto improvviso.

E' sempre una questione di tempo.
Questo pensavo mentre andavo... e stavolta andavo via per davvero. Vie e palazzi che non conoscevo, che sentivo sporgersi su di me... profondamente.

Il mio primo giorno finiva cosí. Avrebbe potuto darmi di piu'?

Poteva essere, non ero sicuro di nulla. Avevo tante domande, e tantissime risposte. Il punto in quel momento era un altro, molto più semplice. Non volevo dormire da solo quella notte.


Ero sempre stato convinto che l’amore vero, quello di una vita, passasse una volta, una volta sola. Io l’avevo visto arrivare, l’avevo vissuto fino in fondo, giorno dopo giorno. E lei se n’era andata, dopo mesi di silenzi e urla improvvise. Parole sbattute in faccia, per fare un po' di rumore. Era una strada , ma quello che si intravedeva alla fine di quella strada non era un paesaggio. Erano parole, rimorsi, fraintendimenti, solo nuove paure. Lo sapevamo entrambi. Ci siamo andati a sbattere un giorno, contro quelle parole: ciao, amore, matrimonio, figli. L’ultima volta l’ho vista allontanarsi. Ha sorriso e mi ha detto 'Ciao, non pensarci più'.

Avevo superato i trenta, una laurea in lettere moderne, un fratello che viveva ancora con me.
Era settembre, ero ancora innamorato di una ragazza che non aveva più nessuna intenzione di far parte della mia vita, non avevo progetti reali. Ho deciso di partire. Senza pensare al ritorno.

L’ultima immagine che ho della mia città, è il mare agitato, incredibilmente grigio, dietro i vetri della macchina di mio padre.

Tre mesi a Parigi, scivendo lettere commerciali per una ditta e girando di sera per brasserie in cerca di una ragazza che mi ricordasse lei. Due mesi a Lisbona, insegnando italiano ai magrebini. Un anno a Tours, lavorando come correttore di bozze per una rivista italiana. Amori veloci, poche conoscenze, quasi sempre limitate all’ambito lavorativo o al sesso. Stavo imparando a stare solo. Non mi dispiaceva. Nel tempo libero camminavo per ore, senza sentire la fatica, senza meta, solo con un libro sempre in tasca e il mio i-pod che mi ricordava da dove ero venuto.

Mi piaceva perdermi per città che iniziavo a conoscere piano, scrivevo tutto quello che mi passava per la testa su un quaderno con la copertina rossa. Certo, la felicità l’avevo sempre immaginata un po’ diversa. Pensavo spesso a lei. La sognavo, tanto che alcune mattine mi svegliavo con la sensazione di averle parlato, di aver fatto l'amore con lei.

Sopravvivevo.
Arrivai a Roma una mattina di marzo. La città era paralizzata da due giorni di pioggia torrenziale, le strade erano intasate da un traffico assordante. Mi sedetti su una panchina da cui si poteva ammirare, lontano il cupolone. Non stavo bene, ero raffreddato. Non capivo bene perche' avessi scelto di tornare in Italia. In quegli anni avevo imparato qualche lingua, avevo conosciuto cibi diversi e visto giocare squadre di tante nazioni.

Per qualche ora ebbi l’impulso di tornare a casa, a Bari, non perché ne avessi voglia, ma perché avevo paura. In poche parole, stavo crollando. Entrai in un bar, era deserto. Presi un pezzo di pizza bianca e una coca cola light, nessuno sembrava accorgersi di me.

Sei italiano? Mi girai di scatto, e mi trovai di fronte una ragazza con i capelli castani e due occhi marroni comelegno bagnato. Sì. Ciao. Son sempre stato timido, anche quella volta non riuscivo a trovare due parole sensate da mettere in fila. La solitudine si faceva sentire, di colpo. Non sapevo cosa dire...

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