sabato 9 dicembre 2006

Racconto...Pensare al presente




PENSARE AL PRESENTE


Maglione blu portato senza camicia su una maglietta bianca, jeans e scarpe
da ginnastica.
Sono le 8 e 10. E' una mattina di fine Novembre.
E' appena giusto che esca in fretta da casa e si diriga al lavoro.
Ma non ha nessuna voglia di pensare così.
Un po' perché per essere le 8 e 10 di un venerdì di fine Novembre ci sono
già 17 gradi di sole tiepido e promettente, un po' perché si sente nella
testa una specie di muro, un po' perché a pensarci bene un lavoro vero lui
non ce l'ha.
Ha 31 anni, sono le 8 e 13, si infila la giacca e la voce di sua madre lo
ferma davanti alla porta: - Vuoi il riso con le zucchine oppure ti faccio il
pesce? -
Ha 8 euro in tasca, la barba lunga di tre giorni e i capelli freschi di
shampoo: la voce della madre gli si ferma dinanzi come un problema e lui si
sente nauseato dal groviglio.
Esca senza una risposta: - Decidi tu. -
Ascensore, quarto piano, l'i-pod con Vecchioni che canta Samarcanda.
Si alza il bavero della giacca, è un gesto meccanico, lo fa dai tempi della
scuola, lo fa in tono normale che sembra dire che tutto sia inevitabile,
come tutto sia sempre perdonabile.
E' in strada, dietro di lui l'odore acre di lacca di un negozio di
parrucchiere, la mattina va aprendosi su se stessa.
- Oggi è troppo bello per lavorare, facciamo qualcosa di diverso, almeno una
cosa di cui domani non dovremo far fatica a ricordare? -
Sms che manda a tutti quelli che ha in rubrica, la rubrica del suo telefono
cellulare.
127 caratteri.
Dopo tre minuti riceve due risposte.
In una c'è scritto: - Invidia. -, nell'altra - Sono a casa, anch'io niente
lavoro oggi, una mezza influenza. -
Respira, ma non respira abbastanza.
Cammina adagio, come se nuotasse.
Arriva all'angolo e svolta a destra.
Via Imbriani.
Sono le 8 e 19, gli ultimi ragazzi si affrettano verso la scuola. Lo
incrociano, lo urtano, lo scansano.
Di tanto in tanto si ferma, si china, si aggiusta le sue calze a righe che
non stanno più su.
All'incrocio dove via Imbriani fa angolo con corso Cavour ha due
possibilità: andare a destra verso il mare, verso la città vecchia, oppure
proseguire diritto per via Dante, percorrere la strada che ogni mattina fa
per andare all'università.
Sono 16 anni che fa sempre la stessa strada.
E' un abitudinario.
Prima la faceva con il fratello a alcuni amici, era quando andava a scuola,
poi da solo, negli anni dell'università.
Un tempo gli piaceva lo scorcio di mare che si intravede da Corso Cavour
attraverso i due identici palazzi della Camera di Commercio e della Banca d'Italia.
Un tempo andare a scuola in una giornata così sarebbe stato un lusso a cui si sarebbe potuto tranquillamente rinunciare.
Terrorizzante-mobile-bisbiglio, era ciò che si sentiva quando si decideva di saltare la scuola. Paura di essere scoperto, il dubbio di star perdendo tempo, la paura delle prime possibili scelte.
Niente mare oggi, mentre percorre via Dante guarda i primi negozi aprirsi lentamente.
Svolta in via Melo e poi a destra verso il giardino di piazza Umberto. Troppo presto per i bambini che giocano con le nonne, troppo tardi per quelli che portano i loro cani a passeggio.
Di fronte a lui ormai c'è l'università. L'edificio intorno al quale si intersecano le vie più trafficate del quartiere.
Un edificio alto e massiccio,una specie di riparo senza che su di esso ci fosse mai vero chiarore.
Prosegue passando davanti ad un'edicola ed al portone dove si trova la sede dell'ufficio legale di un suo amico. E' quello che gli ha risposto, quello che ha scritto: - Invidia! - quello troppo intelligente per fare una cosa furba, quello troppo poco coraggioso per fare una cosa intelligente.
Continua a camminare: la stazione, il sotto passo che porta sulle arterie extramurali, i primi extracomunitari con le loro mercanzie, i portici già pieni di gente in ansia.
La strada è penetrata dal rumore delle automobili che in seconda o in prima "scendono" verso il centro. Sente le macchine passargli accanto, sente la voce di Bruce Spingsteen nei suoi auricolari bianchi.
Il suo respiro trilla come una sveglia che non riesce a farmare, tanto più forte quanto più uno ci fa caso, finché con una marmitta cadente un vecchio furgone iveco innesta un'altra marcia e lui si accorge, come di soprassalto, di essere arrivato all'incrocio fra via Capruzzi e via della Repubblica.
A questo punto è sotto il ponte che separa la Bari murattiana da quella degli anni 50.
A questo punto decidi se tornare a casa o proseguire fino al parco per goderti una stecca di cioccolato fondente e un ricordo da panorama estivo, lasciato là, in basso, sull'erba dove a Maggio e Giugno va a prendere il sole con alcuni amici.
Incrocia piccole vie laterali, ne supera tre a grandi passi, prima Frank Sinatra, poi De Gregori, Rimmel e Generale, e ora Hurricane di Bob Dylan attraverso il suo i-pod.
La strada si allarga negli ultimi 200 metri prima dell'imbocco del parco, i negozi piano piano si diradano e lasciano il posto ad uffici e banche.
Le macchine corrono tutte insieme come pezzetti di legno in un rigagnolo di acqua grigia. La sua mente si allontana innervosita dall'involontaria immagine del suo pranzo che sfrigola nel piatto, dell'acqua maculata di amido di riso che bolle.
Si sforza di pensare a qualcosa di piacevole, si sforza di non pensare a quello che dovrà fare nel pomeriggio, a quell'impegno che ha preso contro la sua volontà e che ormai lo fa sentire in trappola. La cosa sembra certa, in preda al suo disgusto, cerca il telefono.
Niente, nessuna chiamata, nessun messaggio in memoria. Nessun altro ha risposto, nessuno si è accorto di quello che lui ha voluto dire.
Immagina se stesso sul punto di calciare un pallone, ma sente di trovarsi da solo. Nessuno probabilmente andrà a riprendere quel pallone non appena lo avrà calciato.
Tenta di nuovo di raffigurarsi sua madre mentre commenta, troppo vicina o troppo distante, gli avvenimenti appresi dal telegiornale.
- Deve esserci qualcosa a questo punto. - I Doors cantano Love streets, l'acqua che fuoriesce da un tombino rotto e che, giallognola, si arriccia sull'asfalto gli ricorda quelle traiettorie diagonali che faceva quando da bambino correva con il pallone tra i piedi.
A un tratto è certo che ci sia qualche altra cosa in tutto questo, in questa mattina che sta camminando insieme a lui.
Strizza gli occhi al ricordo dei suoi 18 anni. Ricorda la sua prima ragazza, il parco, il suo primo bacio. Ricorda lei sul manubrio della sua bicicletta, ricorda la ragazza e la sua felpa rossa, ricorda se stesso, fratello piccolo di quello vede ogni giorno allo specchio, ricorda lei mentre gli dice: - tienimi Vinci. - ricorda la vergogna quando lei lo lasciò.
- Proviamoci ancora una volta, diamoci un'altra possibilità. -
- Ma io non ti amo, lo sai che non ti ho amato mai. -
E' sull'erba umida del parco che pensa a questo.
La crescente complessità della luce del sole lo fa sentire minacciato.
Vuole andare avanti. Si rialza. Sembra abbastanza semplice.
Sono le 9 e 25.
In trenta minuti sarebbe di nuovo a casa, potrebbe prendere la macchina e guidare verso sud, potrebbe ritrovarsi in perfetta salute sulle strade di un'altra città, può farlo, potrebbe provare a farlo.
Si siede su una panchina invece.
Si sbottona la giacca e guarda la gente passeggiare.
Non vuole che arrivino le dodici e con esse il rimorso di una mattina affrontata così.
Cerca un alibi, una scusa, qualcosa che lo faccia sentire giustificato.
Se fosse andato all'università probabilmente non avrebbe fatto niente lo stesso, proprio come sta accadendo al parco, qual è allora la differenza?
31 anni e non più 18?
Tutto sta nel non essere ridicoli, nel far tutto quel che si deve fare finché non manca che un soffio.
Intorno a lui non c'è molta gente.
Due signore con un passeggino e qualche ragazzo che corre in tuta.
- Scusi signora - dice ad una delle due, calcando sulla prima parola con un peso forzato, come uno storpio che prova a correre - qual è la strada per il centro? -
- Torna indietro - una signora in stivali marroni e gonna nera alza un dito e gli risponde - prendi via Della Repubblica, vai sempre dritto, dopo il ponte c'è Corso Cavour. -
- E se andassi verso destra? -
- Che vuoi dire? Arriveresti a Japigia. -
- Cosa c'è dopo Japigia? -
- Ma tu dove vuoi andare? -
La signora è paziente. Il suo viso ha al contempo qualcosa di materno, di sano e di stupido.
Per la prima volta dall'inizio della mattina si rende conto.
Si volta. Sono le 9 e 35. Sente attraverso i suoi capelli sulla nuca le due donne che lo seguono con lo sguardo.
E' in piedi. Due, tre, dieci passi dalle due signore con il passeggino.
Dieci, quindici, venti secondi, è quello che ci mette per allontanarsi da loro.
L'ariosa sensazione che aveva dentro è rovinata.
Il suo sguardo continua a tornare sul suo telefonino.
Sente di essere stranamente insensibile in superficie, proprio come se la sua pelle si stesse staccando dal suo corpo.
Il rumore delle auto sale tra le viuzze del parco. Quello strepito lo consola, lo fa sentire meno solo, gli dice che è ben nascosto ed è al sicuro ormai, che mentre lui si nasconde il mondo è indaffarato ad essere normale, che gli uomini corrono per mettersi le spalle a terra.
Solo 2 sms dai suoi amici.
Chiunque ti dica come ti devi regolare non te lo dice mai chiaramente.
- Il solo modo di arrivare in qualche posto è quello di decidere prima dove si vuole andare. -
119 caratteri, altre 2 euro e 20 centesimi spesi per mandare il messaggino a tutti.
Le labbra umide, gli occhiali, la barba rossiccia tutta arruffata.
- Non credo. - E' l'unica risposta che vorrebbe leggere, ma nessuno gli risponde, ormai i suoi amici sono abituati a questi suoi sms.
- Perché? Dove andiamo? - Era quello che avrebbe voluto domandare, ma senza corpo, finché quelle parole gli restano in testa, compie un dolce ed inusuale moto d'amore, quelle delle parole che non si dicono ma si vedono.
L'illusione al posto del rimorso e del rimpianto. Sente di essere lui senza neanche doversi guardare allo specchio, sente le risate in bocca ancor prima di mettersi a ridere.

Ah: questo è quello che è successo ieri, questo è quello che succederà domani, questo è quello che vuol dire non voler pensare al presente.

1 commento:

Veronica ha detto...

bellissimo...