venerdì 8 dicembre 2006

La metafisica di Damien Rice


"9"
  1. 9 crimes
  2. the animals were gone
  3. elephant
  4. rootless tree
  5. dogs
  6. coconut skin
  7. me, my yoke and I
  8. grey room
  9. accidental babies
  10. sleep don't weep
La prima buona ragione per ascoltare il nuovo disco di Damien Rice, "9" è il suo lungo lavoro sul tempo della musica e della parola, che non si esaurisce nello splendido album d'esordio "O", ma che continua in queste accattivanti 10 tracce. Come ogni folksinger che si rispetti, Rice è stato segnato dalla scoperta di un'atmosfera, di una intimistica legge d'equilibrio tipica delle nuove contaminazioni fra la musica folk di matrice dylaniana e le nuove tendenze indie. Cosa vuol dire? Una cosa semplice e drammatica, che Damien Rice ha còlto la crisi di un mondo, quello del voler per forza comunicare qualcosa al maggior numero di persone possibile. Che senta, allora, di avere un tempo, e lo senta scorrere dentro di sé, ora più lento ora più veloce, nell’attesa "che lo zucchero si sciolga nel bicchiere" o che l'idea amata giunga all’appuntamento , nell’allungare o nell’abbreviare una sillaba mentre canta, deve rimanere un "problema" di pochi e per pochi. Sentire che il mondo ha un tempo, con le sue scadenze e i suoi imperativi, con le sue epoche e le sue ere. La musica non parla per epoche, ma per ere, per fasi intime ed intimistiche, è di questo che si deve parlare parlando di Damien Rice e dei suoi primi due album. Semplice. Ma tragico: perché questi due tempi, quello del mondo e quello della coscienza, non comunicano tra loro. Ed è in questa frattura che si deve compiere una scelta, è in questa strana ed inusuale intercapedine che si colloca la poetica di Damien Rice. "In questa frattura la mia coscienza precipita nell’abisso dell’alienazione, o si arresta e si liquefa come un orologio surrealista nella dimensione dello psicotico.
In questo sta il tragico dell’esistenza nei testi del cantante irlandese: nel rischio perenne dell’abisso sul cui orlo siamo tutti, nella cristallizzazione dell’anima, nelle lancette dell’orologio interiore che follemente possono ruotare all’indietro. Eppure questo rischio viene evitato, di norma. Come mai? Cos’è che ci mantiene in equilibrio su questo bordo ? Il lento scorrere della melodia, il controcanto di Lisa Hunningam, il lento schiocco del pianoforte, il violino appena accennato, la chitarra.
La parola di damien Rice non salva se stessa, ma semplicemente la si usa per provare a vedere la vita delle cose da lui raccontate come divenire, come fluire. Ecco la scoperta di Rice: il tempo del racconto in musica come intersezione problematica della coscienza nel mondo delle "cose", e del mondo nella coscienza. il piano del vivere lo scopriamo sempre più ispessito, via via che su di esso scopriamo collassare un numero sempre maggiore di tempi e di piani? E allora vorrà dire che raccontando questo piano ne dovremo aggiungere sempre un altro, sempre diverso dal precedente. L'importante sarà non fermarsi mai, vero Damien?

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