domenica 3 febbraio 2008

Discorso politico e non


















Le stranezze del nostro tempo ci hanno abituato a molto, e di più. Alla stupefacente scena mancava il prototipo del bambino prepotente. Pensate a quei bambini che arrivano al campetto con il loro bel pallone nuovo sotto il braccio e propongono di fare due squadre e una partita. Uno di quei bambini che indossano la maglia della squadra per cui tifano, con le scarpe più costose e che non sopporta che non gli si passi la palla spesso, uno di quelli che non passa la palla nemmeno sotto tortura, il classico individualista.
O, ancora peggio, una di quelle persone che non tollera di perdere e che prolunga la partita finché non riesce almeno a pareggiare.

Uno di quei bambini insomma con cui si sa sempre come finisce il pomeriggio: il bambino prepotente, rosso di rabbia, si riprende il pallone e nel silenzio generale lascia gli altri senza divertimento.

Nelle quinte della politica nazionale ci sono sempre più arroganti bambini "proprietario" del pallone. Vogliono decidere quando giocare, come giocare, chi giocare.

Che sia una partita di calcio da oratorio o una votazione o un processo, o meglio ancora un talk show televisivo o un confronto parlamentare o una legge dello Stato, non importa.
Ci sono quelli che decidono, quelli che decidono chi vince e chi perde. E ci sono quelli che vincono sempre, quelli che vincono anche perdendo e quelli che sono quelli che troveremo lì anche fra dieci anni, pronti a cambiare maglia, a passare dal tifo per il milan a quello per l’inter, proprio come si passa dal tè al caffè.

Sono quelle persone che non sanno rinunciare alla loro micidiale sincerità, all´energica autenticità della loro visione del mondo. Restare in piedi, anche se per far questo devono calpestare qualche amico. Non gliene importa nulla del gioco, dei giocatori, delle regole del gioco. Gli importa soltanto vincere, vincere, vincere, e peggio per chi non lo capisce.

Lasciati guardare un po' più a fondo - finché si può - senti come tremo perchè sento che tutto finisce qui lasciati guardare un po' più a fondo - finché si può - un ultimo saluto al nostro tempo
e tutto finisce qui
…” Subsonica, lasciati, una canzone di qualche anno fa, una canzone di malinconica rinuncia, una canzone da atmosfera, si sarebbe detto negli anni ottanta. Una canzone in cui “le parole si prosciugano e il fiato non ha via d’uscita”, una canzone che, forse, mette in luce “l’oscurità” di questi giorni, di questa nostra politica “cerchiobottista”, in cui non esistono più gli ideali, né da una parte né dall’altra, ma solo il potere, la gestione del potere, proprio come quei docenti universitari che smettono di fare ricerca, la vera vocazione del professore accademico, e diventano burocrati, gestori di potere.

Ecco che “i nostri” in questi giorni non stanno facendo nulla per nascondere loro stessi, per celare a la loro familiarità con l’affarismo e l’opacità dei comportamenti: una familiarità così radicata, da non farli più avvertire né l´illegalismo né l´opacità delle loro azioni. Perché parlo di illegalismo? Perché è un illegalismo ideologico, morale, di pensiero quello che più fa male in questo momento. Una forma di difesa di casta che la gente non riesce più a sopportare, perché c’è troppa distanza fra l’Italia dei palazzi e quella della strada. Non basta la televisione a far entrare la politica ogni giorno nelle case degli italiani. Ci sono due velocità, due mondi, due modi di vedere le cose: quello della politica e quello delle mille contraddizioni che nella politica dovrebbe trovare soluzioni e non alimenti, che è quello della vita di noi cittadini.

Non è tanto l’accusa di presunte illegalità quello che in questo momento fa male ai cittadini. E’ più la distanza, il senso di onnipotenza, di arroganza nei toni che porta il mondo politico spalle al muro di fronte agli occhi della gente.

Tutto è concesso, questo è il senso della casta. Tutto viene passato da padre in figlio, da padrino a figlioccio. Con questa legge elettorale i cittadini non possono in pratica neanche più votare un loro candidato. Ma si diventa onorevole in base ad una scelta di segreteria. Casta della casta.

E non serve il populismo di facciata, non è così che si governa, non è dando il contentino di immagine che si esercita il ruolo di amministratori della cosa pubblica. Si deve programmare e le programmazioni sono sempre lunghe. Si deve partire dalle idee, dalla cultura delle idee, puntare sui giovani, sui meriti, sui talenti, sulla creatività, sulla cultura del lavoro. Altrimenti? Altrimenti ci troveremo sempre di fronte
quel bambino che finisce per tornarsene a casa con il "suo" pallone perché lui non vuole rispettare le regole del gioco.

4 commenti:

Unknown ha detto...

1) La mia vicina di casa mi bussa e mi chiede con grande naturalezza: "Signora, conoscete qualcuno all'università per una raccomandazione alla sicsi per Raffaella? Naturalmente pagando il dovuto!".
2) Alle scorse elezioni amministrative una cara collega, colta e perbene, già psicologa, mi telefona e dice: "come sono felice Mariella che sei candidata, in politica ci vogliono persone capaci come te! Io peccato però che devo dare il voto a Costantino (pizzaiolo, candidato nella lista avversaria), e come faccio sennò: quello mi risolve la cena una sera sì e una no!"
Capisci, caro Vinci, quella munnezza politica che tanto deprechiamo, in fondo (e neanche tanto...)siamo noi!

Anna ha detto...

Ciao:
Sono una studentessa di secondo corso d’italiano ed ho trovato il tuo blog per caso, cercando qualcosa sul libro Il senso della casta,(credo ch’è così).
Hai ragione, ma questo problema non è solo dall’Italia, noi , gli spagnoli, siamo ancora peggio. È come si i nostri politici abitarono a matrix o qualcosa così.
Io ho tanta invidia degli altri paesi dove i suoi politici lavorano per i loro cittadini.
Spetto, spetto che qualcuna volta i cittadini addormentati si svegliano e chiedono ai suoi che lavorano per loro.

Anonimo ha detto...

"Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare." Albert Einstein

Unknown ha detto...

sì, hai ragione caro anonimo: sono 'in campo' da quando avevo 16 anni, ora il mio egoismo è diventato viscerale.