domenica 1 aprile 2007

Un finale per Trilli




La notte era scesa anche sotto il cielo del paese. Il silenzio dei tuoni segnava il tempo meglio di un orologio. Trilli era inerte da qualche ora, sembrava essersi coricata insieme alle sue storie per un sonno immobile. Quel tipo di sonno che non fa male a nessuno, che al mattino ti lascia le pieghe della federa cuscino stampate in faccia. Cicatrici temporanee che “macchiano” il viso già sconvolto dal risveglio. Un sonno che ha inghiottito nell'incoscienza qualche ora della tua vita. E per questo ti risvegli più vecchio e rugoso.

Era notte. E lei assomigliava sempre meno a chi aveva parlato per la prima volta di lei. Il piccolo ovale pallido e silenzioso del cielo illuminato dalla luna era lì. Gli occhi come crateri spopolati. Immobile il corpo, nel nero del resto del suo mondo e del mondo di sopra. Non si muoveva nel sonno, era lì dove non poteva far male a nessuno, dove non poteva piangersi addosso, dove non poteva fingere, dove non poteva essere quello che non era.

Le carezze dei ragni sostituivano il formicolio dello scorrere del sangue nelle sue vene. Anche i pipistrelli erano venuti a cercarla e adesso ruotavano formando cerchi magici sopra di lei. Trilli si sarebbe sentita sola, se non ci fossero stati i ragni e i pipistrelli, le sue paure, il suo senso di colpa. E c'era un pipistrello in particolare che sembrava sbrigarsi nel compiere il suo cerchio per tornarle sempre più vicino. Trilli dormiva, ma nel sonno non aveva ormai più altra percezione che la vista del piccolo vampiro e l'aspettava, come quando si fissa la piccola lancetta dei secondi di un cronometro. Il pipistrello stava provando a raccontarle una storia.

La storia parlava di nebbia e voleva insegnarle a guardare quello che si nasconde dietro le apparenze delle nebbie.

C'era una casa isolata in mezzo ad una distesa brulla e umida dove il cielo sembrava scendere per restare sospeso e bianco a pochi centimetri dalle zolle. C'era una casa che non si vedeva da lontano e che se si fosse vista sarebbe sembrata disabitata. Invece dentro la casa c'era una bambina e un gatto. Ma lo sapevano soltanto i pipistrelli, soltanto i sogni e le paure che i pipistrelli rappresentavano. Era fredda, la casa. E la bambina si abbracciava al gatto per riscaldarsi. La bambina era sola, ma ogni tanto arrivava qualcuno, talvolta di giorno, talvolta di notte. E la notte sembrava durare più del giorno. Anche perché spesso di giorno la luce si nascondeva fra le nubi che correvano sempre alte sopra il tetto della casa e guardando dalla finestra si notava soltanto che la nebbia era più chiara. Era come se la bambina vivesse in un bicchiere di latte. E quando qualcuno che arrivava apriva la porta la nebbia sembrava trattenersi per un po' nell'aria della stanza. Come se il latte si versasse ed entrasse dalla porta. La bambina non diceva mai una parola perché nessuno le aveva mai insegnato a parlare. La bambina miagolava. Soffiava e graffiava, quando qualcuno che entrava nella stanza poi le si avvicinava. E la toccava senza farle carezze. Due anni prima qualcuno aveva pianto per una bambina molto piccola che non si era più trovata. Perché è difficile vedere quello che si nasconde. Ma c'è.

E le parole possono essere un richiamo per guidare i passi nella nebbia. Per arrivare ad una porta da aprire. Anche per questo, forse, i pipistrelli strillano forte. Per non scontrarsi negli incubi che si nascondono nella nebbia.

Trilli vide disfarsi girotondo dei piccoli vampiri sulla sua testa. L'ultimo pipistrello che sparì alla sua vista fu quello che le aveva raccontato la storia.

Stava arrivando l'alba. Ma Trilli sembrava sempre lì dove il pipistrello l’aveva lasciata…

Una storia per Trilli, trovate le parole... Trilli è così bella quando vola nel sole...quando finge prendendo in giro anche lei.

1 commento:

Anonimo ha detto...

lontano lontano.....mi ha fatto pensare a noi, ora così lontani, ma sempre vicini. Tuo fratello