domenica 8 giugno 2008

articolo















E se vedessimo i giovani di oggi come tanti personaggi in disparte di uno di quei quadri maestosi e terribili del Caravaggio. Personaggi minuscoli che solo la luce riflessa sa fa vivere da sè.

Esser guardati come si guarda un assente, la dolcezza, però, nell'esser considerati familiare, un personaggi piccol, insomma, ma fedeli, degni di esser imitati, capaci di compiacere il comportamento complice degli altri personaggi.

Sarebbe bello che i giovani di oggi, quelli ad esempio che stanno per raggiungere la maturità, racchiudessero per qualche istante il segreto dei loro stessi occhi, dei loro desideri, delle loro speranze, in se stessi, che si fermassero, per un momento, a guardare sin dove sono arrivati. Guardarsi indietro per assoporare meglio i risultati ottenuti. Spesso siparla dei giovani come di figure fragili, dolci e splendide minose non sempre in grado di reggere i primi venti. Ragazzi e ragazze che credono poco in se stessi, che non hanno fiducia nelle proprie azioni, nei propri pensieri. Ecco il perchè di questo "sedersi e guardare". Diciamo che, restando nella metafora pittorica, sarebbe come ricostruire in se stessi la forza delle pennellate caravaggesche, riuscire a confondersi restando però padrone dei propri gesti, lasciare l'aspetto di "cosa mentale"e vivere pienamente il desiderio di essere.

Bisognerebbe che noi tutti, non solo i giovani capissimo che le bellezze che si danno per prime sono anche quelle che stancano più in fretta. Qui sta il concetto di auto-stima e di auto-ironia.

Il passaggio dalla scuola all'università o quello dalla scuola al mondo del lavoro serve ad imparare a vedersi, come diceva Moravia in un suo racconto giovanile.

Quanti problemi in meno avrebbero i ragazzi se imparassero a guardarsi indietro, se amassero di più il loro talento, se credessero di più nelle loro capacità.

E' un problema di fiducia, un problema di concreta forma di auto-stima.

Spesso non si ha nemmeno idea del potenziale di ognuno di noi e si rimane ancorati all'immagine di ultimi della classe che si atteggiano a primi con risultati dannosi per la propria psiche.

I personaggi dei quadri di Caravaggio hanno colori scusi, gli umori spenti di sorrisi troppo poco assecondati. Non sono gli eroi, ma sono quelli che danno luce agli eroi, quelli che assorbono le ombre, quelli che permettono agli eroi, ai personaggi principali di essere il fulcro della scena.

Questo sono i giovani del duemila, i maturandi, i neo universitari.

Bisognerebbe capire e far capire che in questi loro occhi c'è quel momento in più che il cielo stellato sopra di me, qualcosa in più che la legge morale dentro di me: c'è il futuro ancora non scritto, l'unica cosa certa è una cosa non certa. Un bellissimo ed affascinante ossimoro direbbe Pasolini.

Sta pian piano arrivando anche quest'anno il tempo in cui Bari cambia colore, quell'afa accecante che inganna il nostro vivere giornaliero: sono i giorni che coincidono con gli esami di maturità, con la fine della scuola

Quel periodo in cui alla"controra" tutto perde colore, anche il cielo col suo mondo di pace non s'aspetta più. Bari diventa una piccola bomboniera mandorlata, uno stanco mondo fatto a città.

Vien fuori un'immagine tenue che urta con quella carvaggesca che abbiamo costruito fino ad ora.

Bari non è ancora un città per i giovani, ma speriamo che possa diventarlo da qui a qualche decennio. I ragazzi non vanno visti con ottica utilitaristica, se così fosse li dovremmo condannare per la loro poca praticità, per quella incapacità cronica di badare a se stessi. Bamboccioni o no, i giovani del duemila hanno paura, sono spaesati, non hanno voglie e se le hanno sono voglie che passano in fretta, che si autodistruggono nel breve volgere di qualche giorno.

Gogna, gogna per tutti loro. Perché i ragazzi di oggi sono pericolosi per tutti noi, per tutti noi che abbiam lo sguardo "pitturato e vuoto".

Com'è allora il giovane del duemila se non metà filosofo e metà puttana? Già fortunatamente curioso ha perso però il sospeso dell'amore.

Impauriti e distratto si abbandonano giocando a fare gli eroi.

I diciottenni del duemilaotto non sono più né qui né lì.

Guaiscono, scrivono per dirci che solo di notte con amici come loro e in un campo di calcio vivono da arguti.

Che dire allora se non che vorrei essere ancora così? Magari li critichiamo anche, ma che nostalgia per quegli ultimi giorni di scuola, che voglia di avere ancora vent'anni!

Chi scrive è un pluri trentenne che parla di sé e che sorride a quello che era e non è più.

"Vorrei anche venirti a ritrovare ma purtroppo non mi è ancora concesso di lasciarmi." Così si chiude il libro di un famoso scrittore argentino morto negli anni ottanta.

Parlava dei giovani, parlava della sua malinconia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ben tornato, vinci giornalista!
pensavo che c'è sempre una condanna nei confronti della generazione più giovane da parte di quella più vecchia, condanna che colpisce anche la nostra generazione. mi chiedevo: e se dietro la condanna si nascondesse invidia? invidia per la freschezza, per gli occhi brillanti di sogni, per il desiderio di colori ogni giorno diversi? invidia. questa notte riflettevo su questa parola, forse una delle parole più cariche di significato negativo. ma possiamo trasformarne il senso e l'azione dell'occhio invidioso cambierebbe. se invidere non fosse guardare con occhio e animo avverso qualcuno, ma molto più verosimilmente guardare dentro, in profondità qualcuno, se non si guardasse ai giovani con animo contrario, ma si guardasse dentro il loro animo, forse si riuscirebbe a far germogliare i semi della loro bellezza, piuttosto che lasciare che secchino generando rabbia e frustrazione come certezza del futuro, come certezza di repressione.

notte vinci

vinci ha detto...

anche verga parlava di invidia nei confronti "del tutto ancora da fare" dei giovani nella novella "la roba"...il tuo post mi ha fatto ricordare questo