mercoledì 30 maggio 2007

L'ipocrisia delle selezioni italiane









Saranno pure confusi i pensieri la mattina, ma il mio oggi è piuttosto netto: "C'è qualcosa che non va, si è esagerato."

In questi giorni sono usciti i dati dell'ultimo concorso nazionale per diventare avvocato. A Bari solo il 39% dei candidati è riuscito a superare l'esame, l'anno scorso andò anche peggio, se non ricordo male la percentuale si era fermata al 37%. Questo vuol dire che quest'anno su 2700 candidati solo poco più di 1000 hanno avuto accesso alla seconda prova. Numeri significativi che, secondo me, conducono a molte possibili riflessioni, perchè comunque investono più di un settore vitale della nostra società, non solo quello della giustizia e della professione di avvocato infatti, ma quello dell'università e più in generale dell'istruzione.

"E' stata fatta una giusta selezione" potrebbero obiettare alcuni di noi, "così finalmente avremo professionisti seri e preparati" potrebbero dire altri.

Tutte frasi razionali, per carità, che non voglio nè criticare nè contestare, quel che vorrei fare, però, è cercar di vedere la vicenda da un'altra angolazione.

Mario Rossi 28 anni, laureato in giurisprudenza, due o più anni di pratica legale presso uno o più di uno studio. Otto ore al giorno di lavoro, ovviamente mai retribuito, poco considerato e mai seguito da quei professionisti che, come è più che naturale che sia, hanno altro da fare che far in qualche modo da "tutor" ai "propri" praticanti. Molte fotocopie, troppe trasferte a proprie spese, molte, troppe persone pronte a dire:

"porta pazienza, è un investimento su te stesso quello che stai facendo."

Siete riusciti allora ad immedesimarvi in questo immaginario Mario Rossi, nel personaggio del "praticante"? Non vi sforzate, avrete tempo per farlo nel proseguo dell'articolo. Pensiamo, invece, che se nella metà degli anni 70 Paolo Villaggio portava in scena il ragionier Ugo Fantozzi, impiegato nella mega ditta alle prese con mega direttori aguzzini e colleghi da commedia umana pirandelliana, ora, a distanza di 30 anni, in epoca di globalizzazione e precariato, ci rendiamo improvvisamente conto che l'orizzonte dei nostri ragazzi non è neanche più quello del Fantozzi ragionier Ugo di turno, ma quello del praticante, non solo avvocato, ma commercialista, architetto etc. etc., di quello che si sente ripetere "se vuoi stare in questo studio fai questo, questo e quest'altro, altrimenti sei libero di andare via." Siamo arrivati a rimpiangere la realtà impiegatizia alla Fantozzi, noi figli del praticantato ad libitum. Ma non è di questo che voglio parlare quest'oggi, non è del precario praticante, Mario Rossi mi scuserà se divagherò un po' in attesa di dargli comunque quel piccolo risarcimento morale che merita. Io oggi voglio parlare del falso modo di fare selezione che investe e ha schiacciato il nostro signor Rossi, uno dei non ammessi, come avrete capito, alla seconda prova di abilitazione per l'avvocatura.

Vorrei dire che una condizione è la selezione, un'altra la debolezza del sistema che si spaccia per tale. Un'altra ancora, questa molto più grave, è l'assenza di un progetto costruttivo per l'inserimento lavorativo dei giovani. Mi chiedo, infatti, che senso ha fare dura e severa selezione a 28 anni, all'atto conclusivo del proprio iter di studi e non farla passo dopo passo partendo dalla scuola dell'obbligo? In questo modo noi abbiamo trascinato il signor Rossi fino alle soglie dell'università, lo abbiamo promosso anche con voti lusinghieri, lo sappiamo tutti che le normative ministeriali spingono i professori a non bocciare, a cercare di recuperare tutti gli studenti, a gratificare anche il minimo sforzo al fine di non appesantire con le bocciature il bilancio sempre in rosso della scuola italiana. Lo abbiamo fatto iscrivere all'università, in facoltà "parcheggio", non è una mia illazione questa, ma sono i dati forniti dalle università stesse (giurisprudenza ed economia sono le facoltà con più iscritti e provenienti da formazioni scolastiche eterogenee, quindi facoltà che non attirano studenti con spiccate attitudini, come potrebbe essere per fisica, ingegneria o lettere stessa), per facilitargli la laurea gli abbiamo ridotto i programmi d'esame (con il famigerato 3+2 tutti i corsi universitari hanno visto ridurre i loro programmi di un buon 25% in media) e lo abbiamo portato a laurearsi con una votazione sempre più vicina all'eccellenza (altro dato statistico vuole che negli ultimi 20 anni il numero dei 110 e lode si è quasi raddoppiato in alcune facoltà), perchè più 110 e lode ci sono e più gli atenei acquistano matricole, più si fanno pubblicità.

Cosa abbiamo prodotto allora? Abbiamo creato una esagerazione di sistema. E se Jannacci diceva che "l'importante è esagerare", intendendo l'esagerazione un po' come il folle volo dantesco, come la voglia, il coraggio, il talento di saper andare sempre un po' oltre i propri limiti, in questo caso mi sembra, invece, che l'esagerazione conduca ad una situazione inversa, porta a frustrare fantasia, aspirazioni, sogni. Penso allora che non sia giusto portar per mano il giovane signor Rossi fino alla soglia del titolo per esercitare la professione e poi diventare tutto d'un colpo esigenti ed inflessibili nella selezione. Bisognava esserlo dalle scuole elementari, non ora, non dopo che lo si è sfruttato come manovalanza a costo zero, come "mezzo" per farsi pubblicità fra le altre università o per avere soldi dal ministero (ogni studente consente a scuole e università di avere fondi statali e quindi posti di lavoro e cattedre). Ora il signor Rossi non è preparato, nè psicologicamente nè professionalmente, ad un cambio di rotta nella propria vita. Bisognava dirgli a 17 anni che la sua strada era un'altra, non ora, non a 28 quando è già quasi vecchio per il mondo del lavoro. A cosa serve adesso? Solo a creare una sola moltitudine di eterni praticanti pronti a fare per un altro anno "il lavoro sporco" negli studi legali a moltiplicare incertezze dei giovani che poi si vanno a riflettere in ogni loro scelta, anche in quelle sociali. Perchè ormai il nostro Mario Rossi si vede come uno sconfitto e non è preparato ad affrontare quella che una sconfitta non è, ma è solo un incidente di percorso.

Con questo non dico che bisognava promuovere tutti, se la commissioni giudicatrice ha deciso di promuovere solo il 39% dei candidati avrà pure avuto i suoi buoni motivi, dico che questo è l'ennesimo tassello di un sistema che non va, di un sistema che favorisce le esagerazioni e che non tutela in questo modo nè i più deboli nè in più forti. Coraggio dunque, giovane Mario Rossi, coraggio qualunque cosa pensi. In quanto a noi, burattinai di storie e di parole, non ci resta che riflettere un po' su questa storia, sul rapporto fra la scuola ed il lavoro, sulle criticità, sulle prospettive di cambiamento e sulle esagerazioni.

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