sabato 31 marzo 2007

La leva calcistica della classe '75



Sole sul tetto dei palazzi in costruzione
sole che batte sul campo di pallone...
...Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e un cuore pieno di paura
".

Proviamo ad immaginare visivamente quello che dice la canzone, chiudiamo gli occhi e cerchiamo in qualche modo di viverla: c'è un bambino su un campetto pieno di polvere battuto da sole, ci sono io, noi, ci sono tutti quelli che non si chiedono dove stanno andando, ci sei tu, chiunque tu sia, ci sei anche se non pensi di esserci, anche se non sai di essere lì, anche se non hai mai giocato a pallone, non importa, ci sei lo stesso e guardi e, guardando, vivi la scena.
Vedi Nino che farà il primo goal, il portiere, infatti, "lascerà passare" il suo tiro, poi farà il secondo, il terzo goal, ma alla fine di tutto gli diranno chi è, gli diranno a cosa va incontro: accettare una vita diversa da quella che sognava quando dribblava mezza squadra avversaria "e accanto al piede il pallone sembrava stregato...", una vita piena di compromessi e di sogni a metà "chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori tristi che non hanno vinto mai."
E' una canzone malinconica La leva calcistica della classe '68 di Francesco De Gregori, non il manifesto di una generazione, ma lo specchio di un'età, il passaggio dalle possibilità adolescenziali alla realtà dell'età adulta, dal tutto al niente diceva il poeta e noi non possiamo che crederci.
Eppure senza Nino, senza quello che lui rappresenta, senza il suo desiderio di avere tutto, senza il suo-nostro-vostro-tuo desiderio di cambiare, la notte è notte, la domenica è domenica, le parole che scrivo sono solo parole, insomma tutto è solo quello che è, solo quello che c'è e non c'è possibilità di scampo. Saremmo destinati ad essere normali a comportarci come se fosse inevitabile essere così e questo sicuramente non gioverà alla nostra felicità.
Ma Nino non deve "aver paura di sbagliare un calcio di rigore

non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia..."
, Nino deve sapere che nella vita si può anche sbagliare un rigore, si può prendere il primo goal, magari anche per un fuorigioco non fischiato dall'arbitro, si può andare all'intervallo, nel mezzo del cammin di una partita, sotto di uno o più goal, ma poi c'è sempre la possibilità di ribaltare la partita, l'importante è avere talento, è avere cuore, è avere l'onesta intellettuale di riconoscerlo.
Fermiamoci un attimo adesso, prendiamoci una piccola pausa per prendere fiato e ripartiamo da qui: da un'immagine un po' ingiallita dagli anni che mi ha sempre emozionato e che non mi ha mai fatto sentire solo, quella di un uomo, uno qualunque, che viene giudicato dall'entusiasmo, dalla voglia, dai sentimenti e dalla sensibilità e non dai risultati ottenuti dalla vita. Gridiamolo forte allora: Evviva la sensibilità e la fantasia e abbasso ogni utilitarismo, non è da questo che si vede un uomo, un giocatore.
Ecco perchè Nino è l'immagine, il simbolo di una passione da vivere, di un rigore comunque da tirare, di una vita che va comunque vissuta, vissuta per quella che è non per quella che poteva essere, una vita da conquistare passo dopo passo e poco importa, allora, se qui De Gregori sta parlando veramente di calcio o di un modo di intendere la vita, di quella voglia di cambiare il mondo affidata all'entusiasmo, alla capacità di sognare dei giovani, di chi non deve aver paura di sbagliare, non deve.
Il calcio è un pretesto, è una metafora, proprio come lo è, per noi, la partita di questa sera fra l'Italia e la Scozia, un momento di gioia da vivere lasciandosi andare
Noi tutti abbiamo amato il calcio almeno una volta nella vita perchè è come ritornare per qualche istante bambini. Fateci caso: per chi ama il calcio, il calcio vero non certo quello violento e affaristico degli ultimi anni, la gioia per un goal della propria squadra è uguale a 12 anni così come a 42, è il ritorno settimanale all'infanzia. Guai, allora, a toglierci questo antidepressivo salutista, guai a non vedere il calcio per quello che è: un sogno, una favola, una emozione speciale.
Non importa, allora, che Nino non abbia più 12 anni come la prima volta che ho ascoltato la canzone, siamo cresciuti insieme e insieme abbiamo sbagliato tante volte quello stesso maledetto rigore.
Non importa neanche ripetersi che i rigori, le passioni, le possibilità nella vita vanno e vengono, no, non è capire questo il vero problema, è il tempo, gli anni, è ciò che scrivi di essi ciò che veramente fa male, è capire di non poter più essere in tempo, di non essere più in grado di smarcarsi e ricevere l'assist dal piccolo Nino, quel cross perfetto che l'attaccante, anche un dilettante come noi, deve solo spingere in rete. Ecco perchè Nino deve fare goal, ecco perchè il portiere continua da anni a lasciarlo passare: per farci sorridere con gli occhi, per farci credere che è ancora tutto da fare.
Godiamoci la partita allora, godiamocela pensando che tutto passerà proprio come è passato il resto, come un goal all'ultimo minuto, come un abbraccio ed altri sorrisi disegnati dagli occhi felici di un bambino.
Chiudo così allora, chiudo ritornando al piccolo Nino che vediamo sgambettare su quel campo pieno di polvere. Oggi è uno di quei pomeriggi meravigliosamente grigi. Continuo a pensare a quel tiro e al portiere che lo lascia passare. Amo il calcio e con il calcio amo la vita specchio e metafora di questo amore che si chiama sport, lo amo e sono contento di dirlo, lo amo un po' come lo zucchero quando non si mescola e rimane nel fondo del caffè lasciando l'amaro.

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