domenica 17 giugno 2007

Prima della maturità...da parte di un quasi professore











Non sempre è naturale per ragazzi di 16/17 anni essere capaci di innamorarsi della letteratura. La pura sopravvivenza scolastica diventa troppo spesso un automatismo che molti non riescono ad accettare, che vivono come una diminutio rispetto a quelle che sono le loro reali aspettative di giovani bombardati di informazioni, ma forse troppo spesso poco informati. E ingaggiano così una donchisciottesca battaglia contro i limiti della loro età, della loro condizione di adolescenti, in un certo modo una battaglia contro se stessi. Ma lo scontro è perduto in partenza se li si lascia soli in questa sfida, se non li si fa capire che la letteratura non è un mondo passatista, non è una cornice impolverata, ma qualcosa di vivo, un work in progress che influisce continuamente sulle loro vite, sui loro gusti, sulle mode, qualunque esse siano.


“Noi siamo impegnati in un gioco che non possiamo vincere. E’ che alcuni fallimenti sono migliori di altri, ecco tutto”

La scuola non può continuare a non capire questo, non può crescere sulle mancanze, nessun organismo vivente lo fa, è assurdo pensare che se lo possa permettere la scuola. Ai ragazzi dobbiamo dare la possibilità di confrontarsi con il loro presente. E cosa importa se questo non coincide con il nostro. Dante, Machiavelli, Montale servono, o meglio, possono servire a seguire le ipocrisie e le autogiustificazioni che ognuno di noi continua a darsi nella vita di ogni giorno. Basta con questa immagine di scuola mitica e ancestrale, basta con il vecchio carrozzone. Ritorniamo al passato, solo così ci libereremo del vecchio. La letteratura serve a questo, deve servire a questo, a spiegare la capacità di vivere, altrimenti ha fallito, ed a questa eventualità non voglio ancora credere

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