mercoledì 16 maggio 2007

Trentenni









Io sono arrabbiato, sono molto arrabbiato, sono così arrabbiato che non ho quasi voglia di scrivere oggi. Ma questa insoddisfazione non nasce perché scrivo e non so nemmeno chi mi legge, succede a tutti i giornalisti di scrivere senza sapere la faccia dei propri lettori e questo, se ci pensate, è comunque sempre un po’ strano, no, non sono arrabbiato per questo, non sono nemmeno arrabbiato perché quando trovo un lavoro mi fanno credere che è solo per farmi un favore che me lo danno e poi mi sfruttano, mi spremono come una bestia. Io sono arrabbiato perché ho capito che dall’età della ragione il mio destino è stato deviato. E’ stato deviato dal segreto, dall’ipocrisia, dalla paura che ci mettono addosso. Io ho paura di queste parole. Paura e ipocrisia, e nella paura non agisco, non faccio niente per vincerla, per liberarmi da questa schiavitù psicologica.

Perché io e la mia generazione abbiamo vissuto sempre con la paura addosso.

L’ansia di sbagliare, il timore di non essere all’altezza, la trepidazione, il batticuore, la paura, la paura e poi ancora la paura. La paura delle malattie, dei “tossici” al giardinetto, paura di deludere le aspettative dei nostri genitori, la paura di non laurearsi in tempo, paura di essere rimasti incinta.

Io adesso esigo la verità, un sola, perché l’abbiamo pagata tutta fino in fondo questa situazione di incertezza, di ennesima precarietà.

30 anni di vita deviati dalla paura e dalle frasi ipocrite che ci mettevano addosso una ansia bestiale, 30 anni che potevano essere diversi per voi, per me, per tutti. Perché noi siamo ancora giovani. Statistiche alla mano siamo la fascia di età che legge di più, che compra più musica, che va più al cinema, potenzialmente dovremmo essere il centro di questa società, dovremmo avere il diritto e la forza di cambiarla, ma poi nei fatti non è così. Siamo Fenomeni proprio per questo, perché facciamo di tutto per non esserlo.

La società ha paura dei giovani e li immobilizza con l’arma della paura.

Noi italiani poi, come diceva il poeta Umberto Saba, al contrario dei francesi, degli americani e degli inglesi “non abbiamo preso il posto dei nostri genitori”. La nostra storia è nata con un fratricidio, Romolo che uccide Remo, e non con un patricidio. Non abbiamo mai voluto superare il vecchio, ci siamo affidati alla tradizione. E anche quelle generazioni che hanno provato a farlo, mi riferisco ai sessantottini, o hanno copiato proposte nate fuori dall’Italia, o sono stati soffocati dalla famiglia come valore unificante. Unificante di cosa poi? Ma questo è un altro argomento che rimando ad una prossima chiacchierata.

Quel che voglio dire, invece, è che vorrei tanto che le cose cambiassero. Sarebbe un bene per tutti, anche per i cosiddetti vecchi che avrebbero una società migliore come avviene in altre parti del mondo, vorrei che ci liberassimo di quel senso di paura che la società, che i nostri genitori, che noi stessi ci siamo costruiti come alibi per non dover agire. Perché, se non ve ne foste accorti, noi abbiamo ancora il talento del bello, non possiamo ingabbiare il nostro diritto a sbagliare, ad illuderci, a continuare ad inciampare con la minaccia della paura, con frasi ipocrite che ci spacciamo come vere.

Sono arrabbiato, sono molto arrabbiato, sono arrabbiato come uno che scopre di essere morto. Io non ero così una volta, almeno non da bambino. Pregustavo il mistero della svolta. Il futuro è un palloncino che vola parallelo a quello dei sognatori, a quello degli uomini liberi.

Non si spera, si “spara”, si spara il proprio Io, il proprio futuro pieno di desideri nell’atmosfera in attesa che si avveri. Ma quell’Io poi non ritorna, quei sogni sparati nell’infanzia non sono più nostri, non sono né miei né vostri, sono stati soffiati via. Vedevo altri ragazzi con i miei stessi sogni, altri bambini giocare con un pallone che vola in alto se a lanciarlo sono le mani di un piccolino e che scoppia se invece a farlo è un adulto. Da bambini ci si immagina che il futuro sia fatto di felicità, ma poi da grandi ci si sveglia in un monolocale in affitto che non sai se riuscirai a pagare a fine mese. Scadenze, appuntamenti inutili, bollette da pagare, sorrisi accondiscendenti al proprio capo…è questo quello che mi fa arrabbiare, che mi deprime, che mi toglie la voglia di lottare. Quel poco di puro, di grande, di bello che abbiamo amato da bambini sembra chiuso in una cassaforte di cui abbiamo perso la combinazione. Sappiamo che c’è ancora, ma non riusciamo più a rivivere quell’innocenza e ci arrabbiamo, e più ci arrabbiamo e più ci allontaniamo da quella purezza, più dimentichiamo la combinazione della cassaforte.

Vincenzo inizia ad avere i capelli bianchi, ed è inutile che continua a mettersi gli stessi jeans di quando aveva 19 anni, non è più lui. Vincenzo il tuo futuro non c’è, il tuo futuro l’hanno già scritto. Torna bambino allora, chiamati, cerca una tua foto di allora e vedi come ti hanno fatto diventare. Devo spaventarti, ma questa volta sul serio, questa volta per una paura vera, non costruita per non farti agire, ma una paura che ti deve mettere paura, vergogna per quel che sei diventato, che ti deve spingere a cambiare. Chiudi gli occhi e credici, allora, fai finta che quel bambino della foto ti chieda di giocare con lui. Non ti arrabbiare adesso, no, non è un sogno, è vero, stai cercando di giocare con lui, con il bambino che eri un tempo.

“E allora giochiamo che tu eri…”, i bambini, fateci caso giocano quasi sempre usando i verbi all’imperfetto…che eri, che ero….,”giochiamo che eri un adulto di 30 anni che voleva solo essere libero…giochiamo!”

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