venerdì 11 maggio 2007

La festa di San Nicola a Bari
















Con tutto l'affetto, la simpatia e la curiosità che mi possono legare all'esperienza anche personale delle feste patronali, qui a Bari siamo in piena festa nicolaiana per chi non se ne fosse accorto, c'è una specie di dogma che non mi ha mai convinto, ed è quello che vuole certe manifestazioni moralmente superiori alla società che le ha volute ed organizzate. Lo diceva lo storico economista Max Weber, ma lo aveva detto in un altro modo anche Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone, ed è quello che dice Francesco De Gregori a metà degli anni '80 nella celebre canzone La storia: nella massa l'uomo esprime il peggio o il meglio di sè, perchè "la storia siamo noi, nessuno si senta escluso." Oggi, allora, è di questo che voglio parlare, di come sia cambiato il concetto di massa e quindi di storia, di come questa sia stata segnata indelebilmente dalla passività mediatica ed in particolar modo dalla spettacolarizzazione televisiva, anche e soprattutto per quel che riguarda eventi di ampia partecipazione popolare.

Per iniziare mi sembra importante dire che comunque la pensiate sull'argomento è evidente che ognuno di noi ha un'idea diversa di festa, specie di festa pubblica, in cui parte di una cittadinanza si ritrova raccolta all'interno di uno stadio o di una piazza. Io, sinceramente, non ho mai sentito nessuna appartenenza nicolaiana, ma ho sempre guardato con rispetto a chi, invece, aspettava i tre giorni di maggio per celebrare con sentita partecipazione la festa del Santo patrono. "E poi la gente, perchè è la gente che fa la storia, quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare". E già, perchè è la gente che fa la storia, e la storia è lo specchio di chi la fa, quella grande madre matrigna, che alla fine ti presenta sempre il conto, imbattibile nell'arte del sacrificio personale, il cui senso di partecipazione collettiva è la più antica delle droghe di massa, la principale causa di quell'infantilismo perenne che segna da sempre il carattere nazionale di noi latini. Perchè poi è questo lo spirito di certe adunate di massa, ritrovarsi tutti insieme, proprio come è successo quest'estate per la vittoria del campionato del mondo di calcio, tutti insieme per sentirsi accomunati da una identità comune, per non "restare chiusi dentro casa quando viene la sera". Tutto bene, direte voi, ma perchè non ci chiediamo allora cosa sono oggi le adunate di piazza? A cosa servono, cosa sono diventate? Sono reality show in cui non si richiede alcuna abilità, tutti partecipano, tutti si sentono protagonisti, tutti credono di esercitare una loro libertà, "la storia siamo noi", noi che in questo modo crediamo di farla. Ecco perchè questa sera, un po' controcorrente, voglio ribaltare il significato della canzone di De Gregari. Voglio spezzare una lancia nei confronti di chi non solo non ama partecipare a queste manifestazioni, ma spera che questi giorni passino il più velocemente possibile, insomma farmi portavoce di chi dice: questa storia non sono io!. Una minoranza direte voi, sì, forse, ma anche la minoranza in democrazia ha diritto ad avere una propria voce, ha diritto ad essere rispettata. Proprio per questo, senza scadere nel retorico "come eravamo", mi vien voglia di dire che ormai anche le feste di popolo, nell'accezione migliore del termine, sono figlie del populismo televisivo, nel senso peggiore del termine questa volta. Negli anni settanta Pasolini diceva che gli italiani sarebbero stati plasmati non più da ideali politici, ma da ideali televisivi. Così purtroppo è stato: basta vedere qualche partitella di calcio giocata dai bambini, tutti piccoli Del Piero o Ronaldo, tutti pronti a ripetere gesti e piccole manie dei loro divi televisivi. Anche la festa di San Nicola ha subito questa impronta, purtroppo. Tutto viene imposto, chi si mostra annoiato, ribelle o ironico, chi si pone oltre il cerchio della massa, dimostra di non aver capito il vero senso della festa ed è escluso. Non c'è più spazio per una devozione personale, autentica, tutto è show: la caravella, le frecce tricolori, la sfilata dei soliti politici e così via. Siamo ridotti al rango di spettatori, tutti quanti, "quelli che hanno letto un milione di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare", siamo falsamente mobilitati, perchè in realtà siamo pubblico pieni di divieti, siamo clienti, perchè queste feste fanno circolare denaro, perchè il bambino vuole prima la pizzetta e poi il gelato, il babbo si fa la sua birra e così via. Per carità questo non è un male se serve a dare ossigeno all'economia di una città sempre alla canna del gas, anche se poi in queste circostanze prolificano quelli che non rilasciano scontrini ad esempio e che alimentano l'evasione fiscale, o quelli che non pagano adeguatamente lo straordinario ai propri dipendenti. Ma questo è un altro discorso, perché quello che io contesto non è tanto questo, è l'operazione culturale che si è insinuata dietro queste occasioni di festa. Ci hanno abituati alla passività, a scelte fatte da altri, a perdere il vero senso della festa patronale. Io non voglio credere in qualcuno, ma in qualcosa, questo è il punto, è da qui che dovremmo ripartire per rivivere in pieno lo spirito della festa di San Nicola. Mi chiedo, invece, quanto ci sia di religioso in questi tre giorni di festa? Ma a farsi certe domande si corre il rischio di essere troppo impopolari, di rovinare tutto. E' meglio tornare al punto di partenza, da dove siamo venuti e da lì provare a lanciare piccole provocazioni, come fuochi di artificio nella notte buia. Che San Nicola ci aiuti, allora, che ci dia una mano a ritrovare quel senso della "storia che dà i brividi, perchè nessuno la può fermare", nessuno la può imporre e ancor di più manipolare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

MI SENTO VISCERALMENTE D'ACCORDO CON QUELLO CHE SCRIVI, COMPLIMENTI.