venerdì 11 maggio 2007

Un unico diritto sentiero: la parola. Riflessioni orazione nel Don Chisciotte di Francesco Guccini










Personalità contraddittoria quella di Alonso Chisciano, divisa tra una trasparente lucidità di pensiero, di eredità rinascimentale, tesa sempre alla ricerca della verità, e un temperamento romantico che lascia il posto al vago fantasticare dell’immaginazione. Alonso Chisciano è Don Chisciotte, un grande simulatore e dissimulatore di se stesso, proprio come ogni poeta, come fa dire al suo Fernando Pessoa Roberto Vecchioni nella canzone Lettere d’amore. Cosa c’entra, allora il cavaliere errante della Mancha e Orazio, il poeta del Carpe diem? Qual è il filo rosso che li unisce?

E’ la volontà di nascondersi, che è ad un tempo anche una volontà di mostrarsi e preservarsi, come dimostrano alcuni passaggi delle satire oraziane. Dobbiamo vedere allora in questo atteggiamento, più che una pronunciata timidezza, l’intuizione precoce che la felicità, e di conseguenza la verità che questa illumina, si riesce a preservala solo se viene dissimulata.

La ricerca della verità, allora, quella obiettività indirizzata non solo al mondo ma prima di tutto verso se stesso, fu talmente importante per Orazio che, parafrasando Stendhal potremmo definirlo egotismo, ovvero il culto dell’ego unito alla conoscenza di sé.

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza
.”

dice il Don Chisciotte Gucciniano, personaggio-canzone, simbolo dell’album Stagioni del 2000, così parla ed è lo specchio del suo agire. La ricerca della verità, infatti, per quanto a prima vista possa sembrare una contraddizione nell’eroe di Cervantes va di pari passo con quella della felicità, è quello che si nasconde dietro le righe. Ciò che per gli altri appare una contraddizione, per il Chisciotte, per il “romantico rottame” che canta Guccini è solo una coincidentia oppositorum. Come un certo Orazio della satire, cambia le carte del gioco; unisce immaginazione e senso della realtà, logica e vaghezza, facendoli risultare due facce della stessa medaglia. Ciò sta alla base della sua estetica, ma le radici di questo atteggiamento si trovano molto lontano, già nella loro infelice infanzia. Orazio con la sua origine sociale e politica, il cavaliere errante con la sua vita fatta di sogni e letture. Entrambi in conflitto più o meno latente con la società, Orazio nei suoi Epodi, Don Chisciotte nelle sue avventure, con quella società pronta a giudicare ogni slancio di immaginazione, sintomatico di ogni temperamento “passionale”, come un sintomo di errore o, nel caso di Don Chisciotte, addirittura come segno di follia.

Il paradosso della vita è per Chisciotte proprio un ‘dire disdicendo’. Alla base di questo paradosso sta il concetto, anch’esso di conseguenza paradossale, dell’autonomia del pensiero. Il concetto della vita per la vita contiene già in sé quello opposto della mimesis del mondo. Il pensiero può essere una rappresentazione del mondo solo se è supposta la sua autonomia dal mondo; in altre parole, il pensiero solo dal proprio interno, solo nelle azioni, può riflettere il mondo. Per l’eroe gucciniano se il pensiero non fosse consapevole di ciò, risulterebbe solo astratto e verrebbe meno al fine che si è prefissato, ovvero quello di proporre una valida alternativa al ‘tutto vigente’.

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

L’autonomia del pensiero è in questa strofa finale della canzone di Guccini. Essa comporta allora che il pensiero-azione sia ad un tempo apparenza ed essenza; vale a dire che solo manifestando la propria apparenza, il suo essere forma e quindi finzione, può arrivare alla sua essenza.

Questo per Guccini. E in Orazio? Nell’Epodo IV il poeta attacca con toni aggressivi l’arrivismo di una certa società, oppure negli Epodi XII e XV punta l’indice in maniera contrastante sulle gioie e sofferenze dell’amore. Siamo di fronte al cosiddetto espressionismo oraziano, non certo una posa letteraria, ma un modo schietto, non costruito, di vedere il mondo e la società. circostante. E se Chisciotte esauriva nei suoi ideali civili l’esigenza di equilibrio, Orazio teorizza quell’autosufficienza nelle sue Satire. Secondo questo punto di vista, allora il modus rispecchia nel pensiero del poeta la realtà senza operare scelte aprioristiche. Per Don Chisciotte lo specchio è, allora, metafora della finzione “eroica” dalla quale, come un riflesso, si intravede però la realtà.

Il “satiresco” o il “satirico” oraziano si nutre di letture della società che in qualche modo alterano la realtà, come le letture cavalleresche di Don Chisciotte, di modo che l’eroe del romanzo crede che sia la realtà a non essere vera, ovvero la scambia per un illusione. Di qui il necessario fallimento dell’eroe cervantiano, di qui il trionfo di quello Gucciniano, che non vede vanificato ogni sforzo di conciliare il suo ideale con la realtà. Perchè l’originalità della canzone di Guccini sta proprio nell’aver unito romanzesco e realtà, nell’aver capito che l’essenza di realtà è lecita solo attraverso l’apparenza dello specchio: solo attraverso la parola che in qualche modo è specchio del pensiero dell’autore e della società.

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire.

In questa tensione tra dire e non dire, o meglio tra dire, disdire e agire, l’arte delle due poesie, dei due modi di pensare, manifesta la propria verità. Una verità che ancora una volta non può che essere paradossalmente una non verità, per il solo fatto che a dirla è l’apparenza, la finzione della forma: la parola.

Ma cos’è, allora, questa verità? Per Guccini, non solo nel suo Chisciotte, è la risposta alla domanda: è promessa o inganno? e la risposta è ancora una volta un paradosso: la verità è la promessa di un inganno; è promessa di felicità, ma una promessa che, leopardianamente, non viene mantenuta. La vita promette ciò che non può promettere, altrimenti sarebbe redentrice e mentirebbe spudoratamente; invece, proprio per il fatto che la vita sa di non poter mantenere la promessa, si salva. Bisogna quindi continuare a sperare anche se non c’è più speranza, è con questo concetto che Guccini chiude la sua canzone “sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte”.

Anche in Orazio, in maniera diversa e per motivi diversi, bisogna continuare a “fare vita” perché solo così, dall’alto della sua finzione letteraria, può dare verità alla vita, può descriverla.

Tutto ciò in due mondi diversi, nella letteratura di un poeta del I secolo e nella canzone di duemila anni dopo. Tutto questo in un intreccio di generi e pensieri che può aversi solo confidando pienamente nelle forze dell’arte, anzi, avendo avanti a sé per unico intento quello artistico, la letteratura come forma di riflessione sull’esistenza, come sogno, come diritto-curvo sentiero che si attraversa con la parola.

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