sabato 16 dicembre 2006

L'errore errante del provincialismo italiano



Cos'hanno in comune un libro scritto nella metà degli anni ottanta da un trentenne alle prime armi, ma uscito solo in questi mesi per un banale disguido, ed un'opera terza di un talentuoso cineasta italiano? Stiamo parlando di Francesco Recami con il suo L'errore di Platini (111 pagg., 12 euro, Sellerio), e di Paolo Sorrentino, regista de L'amico di famiglia.
E'opportuno ricordare che il verbo errare in italiano ha due significati: uno, il più comune, indica lo sbaglio; l’altro, meno utilizzato nella lingua quotidiana, si riferisce al movimento di qualcosa o qualcuno, al suo scuotersi o agitarsi, di solito in segno di negazione o disapprovazione (errare senza meta, ad esempio), lo spostamento anche metafisico da un posto ad un altro.
La postura che Francesco Recami ha nel suo nuovo libro, L'errore di Platini, assieme al suo contenuto, alla cornice che lo contiene, è condensata con precisione nel doppio significato del verbo. Recami, per usare le stesse "parole", parole fatte di immagini, ovviamente, con le quali Sorrentino prova a descrivere i suo i personaggi (sia quelli delle Conseguenze dell'amore, sia quelle del suo ultimo film), non è un moralista che in nome dei valori supremi – bellezza, verità, armonia – condanna i comportamenti, le passioni della "sua" gente: amore, sogni, speranze e frustrazioni. Il fine è sempre quello di capire, il che non implica una assenza di giudizio. Anzi. Per farlo descrive, ma anche seziona: usa la sua intelligenza per separare "quel che è, da quel poteva essere ma...".
Al pensiero di un provincialismo culturale fatto di insoddisfazioni, di sogni ad occhi aperti, di incapacità di far fronte al quotidiano, Recami si affida al mito, ad un mito moderno, ad un eroe che non è più infallibile, un deus ex machina capace, con una giocata sbagliata, di invertire il corso di più vite.

Sia quello de L'errore di Platini, che quello de L'amico di famiglia appare come un microcosmo dannato. Ma se questo è vero, allo stesso tempo, va ricordato che, a poco a poco, quel movimento da lento e incredulo, passivo, diventa uno scuotimento vigoroso, come quando, risvegliandoci da un incubo e saltando a sedere nel nostro letto scrolliamo la testa per scacciare il sogno terribile e abbracciare la realtà del comodino, e del bicchiere d’acqua posato lì accanto a un libro. Di fronte al crollo delle certezze, del perbenismo provinciale Recami e Sorrentino affondano i loro affilatissimi strumenti analitici nelle macerie dolorose di un tempo dominato da ipocrisie, disillusioni, paure che si infittiscono sempre più. La riflessione critica sul "cuore italiano", ha, sembrano avvertire, Sorrentino e Recami, “la brevità e la necessaria icasticità di un punto di vista che muta per adattarsi agli obblighi ed all’interpretazione dei desideri del mondo contemporaneo”: una brevità dalla stupefacente, nutriente densità di pensiero, quella contenuta nel libro L'errore di Platini, una pungente, quanto amara e cinica ironia dietro il velo immobile della provincia piccolo borghese.
Se poi la realtà, a causa "dell’effetto di irrealtà” (per cui “la realtà viene percepita come una irrealtà, qualcosa di troppo grande per essere accettato come vero”) si trasforma “in qualcosa di irreale simile a un incubo”, e l'amico di famiglia assume una faccia ghignante e un tredici al vecchio e mai tanto rimpianto Totocalcio diventa l'alibi atteso tutta una vita per dirsi le cose come sono veramente, non resta allora che sperare nell’apocatastasi: la reintegrazione, alla fine di ogni cosa, dell'ordine iniziale degli eventi. Il tempo in cui ci troviamo, il tempo in cui vengono catapultati i lettori di Recami e gli spettatori di Sorrentino non è "l’ultimo", é, però, un tempo che non finisce di finire, un tempo penultimo, in cui anche un evento apparentemente positivo come la vincita ad una lotteria s’iscrive come possibilità e non solo come gioia finale”.

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