domenica 2 marzo 2008

La televisione? E se ogni tanto la spegnessimo?










Alzati che si sta alzando la canzone popolare, se c'è qualcosa da dire ancora, se c'è qualcosa da fare alzati che si sta alzando la canzone popolare, se c'è qualcosa da dire ancora ce lo dirà, se c'è qualcosa da imparare ancora ce lo dirà”. E’ la canzone popolare di Ivano Fossati, una canzone di qualche decennio fa, una canzone che spesso è stata riproposta in questi anni per motivi diversi: politici, di comunicazione, come slogan.
Una canzone, come detto, che si pone come testimone di un’epoca ormai lontana, di esigenze culturali diverse, ma non sempre ancora superate. Erano gli anni in cui si parlava di difendere la cultura popolare dall’invasione globale, anni in cui gli intellettuali dicevano che la cultura delle classi dominanti avrebbero soffocato lo spirito del cosiddetto popolo. Questo era Pasolini, questo era il pensiero di tanti intellettuali negli anni tra il sessantotto e la metà degli anni settanta. Anni in cui il mezzo televisivo indubbiamente favorì l’unificazione dei gusti, delle abitudini, del linguaggio di milioni di italiani. Oggi la situazione è diversa. Siamo invasi in tv da fiction, da trasmissioni in cui si parla in dialetto, in cui si mettono in vetrina linguaggi, tic, modi di fare o look del “popolino”.

Parliamo, quindi, di televisione oggi e partendo da quello che milioni di italiani hanno visto la settimana scorsa durante il festival di Sanremo cerchiamo di mettere a confronto due contrastanti opinioni sull’industria culturale televisiva e sulle sue destinazioni. La posizione di chi vede una possibile conciliazione tra cultura alta e bassa, tra spettacoli culturali e mondo della televisione e di chi invece vede nelle forme della cultura popolare, oggi totalmente dominate dal fenomeno televisivo, una grave minaccia per l’alta cultura.
La televisione ha un suo potere oggi in Italia? E questo potere influenza anche la cultura? Questo in effetti è oggi l’elemento nuovo di un dibattito che altrimenti rischierebbe di essere sempre più sterile e senza costrutto.

La televisione è un formidabile mezzo di diffusione e di amplificazione delle notizie e degli eventi. Perché non farlo diventare anche un veicolo di promozione dei beni artistici e culturali? Sembra buon senso, ma chi ragiona in questo modo non tiene conto del fatto che la televisione, come d’altra parte ogni altra forma di comunicazione, non è un mezzo neutro. In particolare la sua natura di contenitore favorisce la contaminazione tra generi, forme, messaggi diversi tra loro. Si manda in onda il festival di Sanremo dopo la notizia della tragedia di Gravina e ci si scandalizza, mentre magari ci dovrebbe chiedere quale sia il senso del rapporto tra cultura e televisione e che questo non dovrebbe essere poi così superficiale, e che la cultura dovrebbe avere la forza per diventare ciò che oggi non è, la forza che impronta e migliora la qualità della televisione nel suo complesso.

La cultura di questi anni ha questa forza? E poi è veramente giusto trasferire i modi della cultura alla televisione?

Il linguaggio televisivo risponde a dei canoni di immediatezza. La cultura non è una formulina già pronta per essere incapsulata e amplificata da uno schermo e i risultati della cultura in tv sono sotto gli occhi di tutti. La cultura non è qualcosa di serioso, che si è espresso storicamente attraverso altri mezzi, come i libri o altro. La cultura è un vero mezzo di trasporto un mezzo di trasporto, proprio come un treno. La gente è condotta dalla cultura. La televisione invece è un tritatutto, un frullatore, una impastatrice. Non è solo divertimento, la televisione è un grande contenitore, si trova quello che si cerca. La televisione dipende da noi. Può mandare messaggi, può essere terapeutica, ma può essere anche spazzatura. La cultura non deve aver paura della televisione. Non è la televisione ad aver messo in crisi la cultura italiana. E’ troppo facile vederla così, troppo facile dare la colpa alla tv. La cultura, quando è vera cultura, non ha paura del banale. È il "fantasma" della banalizzazione di cui bisogna aver paura.

La banalizzazione corrisponde all’incapacità di porsi domande. Questa è la vera banalizzazione. La banalità può nascondersi dietro il "quotidiano" della televisione, dietro l’assenza di domande.

Sono io sono proprio io che non mi guardo più allo specchio, per non vedere le mie mani più veloci né il mio vestito più vecchio e prendiamola tra le braccia questa vita danzante, questi pezzi di amore caro, quest'esistenza tremante, che sono io e che sei anche tu, che sono io e che sei anche tu”.
Questa è la televisione, uno specchio deformante, ma che parte sempre da noi stessi. Certo, influisce non poco su tutto quello che noi facciamo, sulle parole che usiamo, sulle nostre scelte, ma non è la televisione il grande male, è la nostra assenza di problematicità ciò che rende la televisione così spesso mortificante.

Teniamo allora Sanremo, non è questo il male, il male, casomai, è accettare tutto questo senza farsi mai domande. Tipo: perché non spegnerla?

2 commenti:

Athaualpa ha detto...

"Sono incazzato nero, e tutto questo non lo accetteró piú" (quinto potere)

Anna ha detto...

A me non piace la TV, e come non ho molto tempo e devo scegliere, preferisco fare altre cose.