Ma perché in Italia quando muore un soldato in missione, quindi mentre lavora, retribuito, assicurato e con i contributi pensionistici, in Iraq ad esempio, e tralascio la querelle se si sia trattato di guerra di occupazione o missione di pace, non è questa la sede opportuna per questo tipo di discorso, si fanno funerali di stato in diretta televisiva, e quando muore un operaio in una fabbrica o in un cantiere, magari senza contratto, senza le dovute garanzie assicurative, la cosa si smorza subito senza il dovuto clamore e la giusta indignazione?
Ritengo, e per fortuna non sono il solo a pensarla così, che non sia da paese civile dare così tanto spazio sui media, televisione in testa, a i cosiddetti “delitti alza audience”, Garlasco, Cogne, Perugia etc. etc., solo per citare gli ultimi, e passare quasi sotto silenzio le morti bianche, le morti sul lavoro, quella piaga giornaliera che affligge ora più che mai il nostro paese.
Si ricordi qualche dato: il “cancro” degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Si è calcolato come dall'aprile 2003 all'aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 lavoratori. Numeri che fanno paura, numeri che dovrebbero indignarci, che dovrebbero spaventarci.
Infortuni che costano ogni anno alla società 50 miliardi di euro. Non è un problema di leggi, no, perché le leggi ci sono, il problema è farle applicare con severità e inflessibilità.
E’ necessario intervenire con un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti, in modo che le imprese si sentano più responsabilizzate.
Non si può risparmiare sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, spesso scegliendo maestranze poco preparate e precarie. Così facendo si va incontro a vere e proprie stragi. Senza retorica, senza patetismo di maniera: stragi. Come si potrebbero chiamare altrimenti tutte queste morti?
Negli ultimi 30 anni, poi, per la sicurezza sul lavoro non sono stato fatti significativi passi avanti, questo non solo è triste, è molto grave.
Cosa fare allora? Per prima cosa indignarsi e questo l’abbiamo detto, poi non farsi prendere dalla rabbia e dalla violenza, come invece in qualche caso è successo.
Sarcasmo, ironia, intelligenza. Queste le armi, insieme a quelle della magistratura e della politica, per arginare questo fenomeno doloroso. Ecco perché la canzone di questa settimana è una canzone di fantasia, non è una canzone pensata in italiano, una canzone cantata da un cantante italiano. E’ la colonna sonora di un vecchio film, di un vecchissimo cartone animato, che grandi e piccoli hanno visto da 50 anni a questa parte: Biancaneve e i sette nani.
Perché questa scelta? Perché far stridere il sentimento della morte con quello di un cartone animato a lieto fine? Perché l’ironia, la satira, perché uno schiaffo a favore di vento colpisce di più, perché è più forte la ferita che non ti aspetti piuttosto che una bombarda lanciata con preavviso.
“Provate a fischiettar, vedrete che il lavoro, più leggero vi sarà! Provate a canticchiar,un semplice motivo, sempre allegri vi terrà!” Dario Fo cantava qualche decennio fa “sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re…diventan tristi se noi piangiam…”, una canzone da cabaret, una canzone di protesta intelligente. Colpire anche con l’ironia, colpire con la satira. Non si deve piangere si deve ridere, colpire con una risata, spiazzare chi ci toglie il diritto ad essere felici può far ancora più male, può sparigliare le carte in tavola.
Chi erano, allora, i sette nani? Dei dolci minatori che aiutano Biancaneve, che la ospitano, che la accudiscono nel momento del bisogno. Cantano quando tornano dalla miniera, cantano per rallegrare la loro ospite, cantano per superare la fatica, cantano per sognare.
“Cantando prenderò, la scopa e dopo un po’, invece di spazzare, di ballar con lei vi sembrerà!”
De Gregori, in un’altra grande canzone sul lavoro, “La ragazza e la miniera” diceva “e per fortuna che c’è sempre qualcuno che canta e la tristezza ce la fa passare…”, la canzone, le parole miste a musica servono anche ad obliare e obliarsi di fronte ai problemi, anche di fronte alla morte.
Con la morte da sempre si acuisce il disagio sociale, il vuoto di relazione che costituisce uno dei problemi più seri della nostra società. La canzone unisce, così come la risata. Solo uniti, solo ritornando a parlare di giuste, doverose rivendicazioni si potrà dare di nuovo dignità al mondo del lavoro, anche quello fatti dai “fantasmi”, da chi garanzie troppo spesso non le ha.
Indigniamoci per le morti sul lavoro allora, rendiamo la nostra protesta intelligente in archetipo di protesta, tra realtà e simbolo, pathos e ironia. Impariamo a fischiettar, proprio come accadeva nei cortei di protesta degli anni settanta, il sublime grado zero di ogni protesta non violenta.
Non perdiamo le chiavi di un paradiso appena scoperto, fischiettiamo, facciamoci sentire.
2 commenti:
Credo che le morti bianche non possano avere una grande risonanza, con funerali di stato o riconoscimenti adeguati, perchè lo stato metterebbe a nudo le proprie mancanze e responsabilità. E' più facile mostrare comprensione per un evento spiacevole nel quale non siamo direttamente coinvolti, in quanto, come dicevo, responsabili, anche in minima parte.
In ogni caso la tua riflessione è molto bella.
Lo so che lo stato, lo stato italiano, perchè in altre nazioni non proprio la stessa cosa (pensiamo alla Francia degli scioperi), non regalerà mai "un pensiero in più" a queste morti e tutto questo è triste e toglie la voglia di andare avanti...De Andrè diceva in "Smisurata preghiera" che "lo stato", in senso lato, avrebbe dovuto farlo "come un dovere".
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