Ci son due cose che fanno “imbestialire” i giovani: la mancanza di fiducia nei loro confronti e la negazione del loro futuro attraverso l’omologazione. Spesso queste due cose sono complementari e spesso sono anche, basti pensare al sessantotto, ai social forum o alle rivolte di Seattle, la causa scatenante delle più importanti prese di posizioni giovanili nel secolo appena concluso.
I giovani sono fatti per protestare, guai se non lo facessero, ai giovani non si può soffocare la speranza del cambiamento, perché la speranza fa parte dell’essere giovani, fa parte del loro primo dovere: quello di far cadere gli dei, di emanciparsi dai genitori.
All’inizio spesso manca il coraggio.
Si dice: “Verrà il loro turno, non serve alzare gli occhi ora”.
E invece serve e ogni giovane dovrebbe saperlo, dovrebbe sentire questa urgenza.
Non c’è tempo da perdere. Il guaio, invece, è che né le famiglie né la scuole e ancor meno le istituzioni sono disposte a spiegarglielo.
Troppa paura della gioventù, paura di sentirsi superati dal futuro, dai giovani, inadeguati rispetto a questo “nuovo che avanza”.
Ma perché i giovani protestano?
Non si sa ancora se è una cosa che sentono veramente, spesso, infatti, si è troppo pigri, pigri anche nel capire se è una cosa che sentono o invece è solo un seguire la corrente, è adeguarsi ad uno spirito di generazione.
Quante volte ci si è trovati a dei cortei studenteschi con accanto gente che non sapeva nemmeno perché era lì? C’era e basta. C’era perché doveva esserci, c’era perché era un modo più o meno comodo di saltare la scuola, di trovarsi un alibi concreto per non andare a scuola.
Quel che è certo, però, è che arriva sempre un momento in cui è almeno necessario decidere autonomamente del proprio futuro.
No, non è così semplice come sembra, ma bisogna saper capire quando è il momento di decidere della propria vita, anche quando cercano di convincerci che il futuro è già tutto scritto, perché la società non cambierà mai, perché gli uomini non la cambieranno mai.
E’ una forma di qualunquismo finalizzato all’immobilismo sociale e culturale questo.
Non è da giovani ragionare così! Non è da giovani accettare un ragionamento del genere.
La passione è il sangue dei giovani, è la vitalità a cui non bisognerebbe mai rinunciare.
C’è una canzone, allora, che appare adeguata a questo discorso. Una canzone di Luigi Tenco, cantante morto suicida alla fine degli anni sessanta. Un essere malinconico, un uomo di speranze, di voglie, un uomo colto.
“Ragazzo mio” è una canzone del 1965, quarantadue anni fa! Eppure è una canzone ancora terribilmente attuale. E’ una lettera scritta da un padre al figlio. E’ una specie di testamento spirituale, un invito ad essere se stessi, a non farsi condizionare dal giudizio degli altri, è l’invito a credere nella forza dell’amore.
Spesso in queste canzoni, anche nelle canzoni di Tenco, avviene, si parli d’amore, ma altrettanto spesso queste, ad una attenta lettura, non risultano canzoni d’amore. L’amore è un’allegoria, ‘ la trasfigurazione della passione, dell’entusiasmo, della bontà ed onestà d’animo in ognuno di noi.
“Non devi credere, no, vogliono far di te un uomo piccolo, una barca senza vela… un acchiappanuvole”. Perché allora è così difficile essere giovani, senza diventare degli inutili acchiappanuvole, in un modo in cui ancora i giovani non riescono a trovare lo spazio che meritano?
Perché si pensa che i giovani abbiamo “tutta una vita di fronte”, la solita frase fatta, la solita frase di chi vuole relegare la passione, l’entusiasmo dei giovani in un angolo. La frase a cui bisognerebbe rispondere: - io sono giovane ora, io ho idee nuove ora, io devo essere io ora e non domani, non in un futuro che non conosco e che potrebbe essere diverso da come me lo prospettate adesso.-
Della giovinezza si hanno due foto: una è una nicchia, l’altra è una luce che illumina, ma che spesso abbaglia e non ti permette di vedere quello che c’è dietro, l’orizzonte, il futuro.
“Ragazzo mio, un giorno sentirai dir dalla gente che al mondo stanno bene solo quelli che passano la vita a non far niente, no,no,non credere no, non essere anche tu un acchiappanuvole che sogna di arrivare, non devi credere, no, no, no non invidiare chi vive lottando invano col mondo di domani.”
L’augurio più bello che un padre può rivolgere ad un figlio è allora quello di non smettere mai di lottare per arrivare ad essere realmente se stessi. Questo dice Tenco in questa canzone. Dice di non allinearsi, di lottare per i propri ideali, ma di farlo seguendo il proprio modo di essere, altrimenti si finisce per farlo invano, si finisce “per andare a fondo da acchiappanuvole”
5 commenti:
hai citato una delle mie canzoni preferite.
questo rimane senza dubbio il mio nascondiglio preferito.
Che piacere e che onore!
....ironico?!
No, non è affatto ironico, anzi mi dispiace che tu abbia letto questo nelle mie parole
..ops..pardon.
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